domenica 27 gennaio 2013

C.O. Gori. Storia e Memoria. 27 gennaio 1945-27 gennaio 2013: per un ricordo “vivo” e non rituale della Shoah e di tutte le stragi della Storia umana


Storia e Memoria. 27 gennaio 1945-27 gennaio 2013

Il Giorno della Memoria ricorda il 27 gennaio 1945, giorno in cui le truppe sovietiche dell'Armata Rossa, nel corso dell'offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Oświęcim (Auschwitz) scoprendo il suo tristemente famoso campo di concentramento e liberandone i pochi superstiti. Per la prima volta veniva compiutamente rivelato al mondo l'orrore del genocidio nazista.
Il Giorno della Memoria è oggi in Italia una ricorrenza istituita dal Parlamento italiano con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 aderendo così alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazifascismo, dell'Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati
Il testo dell'articolo 1 della legge così definisce le finalità del Giorno della Memoria:
« La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.»
Detto questo, immodestamente  rinvio le  amiche e amici che qui mi seguono alla (ri)lettura di miei post tratti da un mio precedente articolo: Carlo Onofrio Gori. “I Giusti” di Toscana: schiaffo all’“indifferenza”. La storia dei toscani che operarono in favore degli ebrei durante le persecuzioni nazifasciste, il ruolo della chiesa e della gente comune, in “Microstoria”, n. 51 (gen-mar. 2007);

http://historiablogoriarchiviosplinder-cog.blogspot.it/2012/01/i-giusti-di-toscana-la-storia-dei.html

http://goriblogstoria.blogspot.it/2012/01/carlo-onofrio-gori-resistenza-e.html

e faccio, qui di seguito, “a braccio”, alcune considerazioni.
Storicamente va ricordato che il popolo ebraico diede il maggior tributo di sangue all’Olocausto, ma che all’interno del popolo ebraico pagarono il tributo alle folli, elitarie e totalitarie, ideologie nazifasciste (in questo senso davvero “male assoluto”) soprattutto la massa dei più deboli ed indifesi e non quel “potere democratico-plutocratico-giudaico” che Hitler voleva abbattere, che nei campi di sterminio insieme agli ebrei finirono altre “minoranze”: i dissidenti politici, gli storpi e i malati di mente tedeschi, gli zingari, i testimoni di Geova, i resistenti politici e militari, ecc.
Questo ricordo di una delle più grandi tragedie sopportate dal popolo ebraico, ma anche dal genere umano, è ormai come abbiamo visto, giustamente divenuta una scadenza del calendario nazionale e, come accade per ogni forma di ritualizzazione, incontra innanzitutto e fatalmente il rischio di una perdita di significato.
Partendo da quel dato storico, ma superandolo ed ampliandone invece il significato, il Giorno della Memoria, deve restare per tutti gli “uomini di buona volontà” un quotidiano ammonimento ed impegno a far sì certi orrori non possano ripetersi mai più. Un invito per tutti ad un impegno “politico” e civile per una tolleranza “militante”.
Purtroppo, da allora ad oggi, fatti e segnali, sebbene di livello inferiore rispetto a quella tragedia, a volte anche apparentemente piccoli ed insignificanti, ma invece non per questo meno sintomatici ed ammonitori, sono accaduti e stanno accadendo e sono sotto gli occhi di tutti: dai fanatismi di stampo politico-ideologico-religioso, ai razzismi, dalle guerre alle “pulizie etniche”, dalle sopraffazioni e discriminazioni politico-economiche, a tutte le “piccole” violenze pubbliche e private ed intolleranze  a danno dei “diversi” ed in genere di tutti coloro che, nel contesto di determinate situazioni, vengono identificati come “deboli” e vigliaccamente colpiti: poveri, dissenzienti di qualsiasi tipo, extracomunitari, zingari, lavoratori precari, prigionieri, malati, anziani, gay, donne, bambini, animali, ecc.. Fra i tanti orrori dei campi di sterminio nazisti e delle stragi gratuite e programmate di ebrei, minoranze, dissidenti ecc. voglio qui, citando un noto poema, ricordane uno; l’eccidio di Babi Yar.
Babij Jar (russo Бабий Яр, ucraino Бабин Яр, Babyn Jar) è il nome di un burrone a nord-ovest della capitale ucraina di Kiev (Київ) dove avvenne una tremenda strage naziste, ed è un famoso poema del grande poeta russo Evgenij A. Evtušenko (traslitterato anche  Yevgeny Aleksandrovich Yevtushenko da Евгений Александрович Евтушенко), pubblicato nel 1961, in piena Unione Sovietica, e  messo in musica l'anno seguente da Dmitrij Šostakovič nella sua Sinfonia N. 13. Il poema è dedicato a quella orrenda strage nazista presa a paradigma di tutte le stragi organizzate dalla follia umana. I fatti in quel caso, sommariamente si svolsero così: durante la Seconda guerra mondiale i tedeschi occuparono Kiev il 19 settembre 1941. I partigiani e i servizi sovietici avevano minato una serie di edifici nel corso principale della città in cui si erano accasermate le truppe occupanti e il 24 settembre li fecero esplodere provocando vittime fra i militari nemici. Fra il 29 e il 30 settembre del 1941, i nazisti aiutati dalla polizia collaborazionista ucraina massacrarono 33.771 ebrei. Nei due anni seguenti altre persone, 90.000 circa, fra ucraini, ebrei, zingari, caraiti, prigionieri sovietici, comunisti, nazionalisti, clero ortodosso, ecc. furono massacrati nel grande fossato. Diversi ricercatori stimano che i morti in quella località siano stati più di 150 mila.

Babi Yar

Non c'è un momumento(*)/A Babi Yar/Il burrone ripido/E' come una lapide/Ho paura/Oggi mi sento vecchio come/Il popolo ebreo/Ora mi sento ebreo/Qui vago nell'antico Egitto/Eccomi, sono in croce e muoio/E porto ancora il segno dei chiodi./Ora sono Dreyfus/La canaglia borghese mi denuncia/e mi giudica/Sono dietro le sbarre/Mi circondano, mi perseguitano,/mi calunniano, mi schiaffeggiano/E le donne eleganti/Strillano e mi colpiscono/con i loro ombrellini./Sono un ragazzo a Bielostok./Il sangue è ovunque sul pavimento/I capobanda nella caverna/Diventano sempre più brutali./Puzzano di vodka e di cipolle/Con un calcio mi buttano a terra/Non posso far nulla/E invano imploro i persecutori/Sghignazzano "Morte ai Giudei"/"Viva la Russia"/Un mercante di grano/picchia mia madre./O mio popolo russo/So che in fondo al cuore/Tu sei internazionalista/Ma ci sono stati uomini che con le loro/mani sporche/Hanno abusato del tuo buon nome./So che il mio paese è buono/Che infamia coloro che qui antisemiti/senza la minima vergogna/Si proclamano./
Sono Anna Frank/Delicata come un germoglio ad Aprile/Sono innamorato e/Non ho bisogno di parole/Ma soltanto che ci guardiamo negli occhi/Abbiamo così poco da sentire/e da vedere/Ci hanno tolto le foglie e il cielo/Ma possiamo fare ancora molto/Possiamo abbracciarci teneramente/
Nella stanza buia./"Arriva qualcuno"/"Non avere paura/Questi sono i suoni della primavera/La primavera sta arrivando/Vieni/Dammi le tue labbra, presto"/"Buttano giù la porta"/"No è il ghiaccio che si rompe"/A Babi Yar il fruscio dell'erba selvaggia/Gli alberi sembrano minacciosi/Come a voler giudicare/Qui tutto in silenzio urla/e scoprendomi la testa/Sento che i miei capelli ingrigiti/
sono lentamente/E divento un lungo grido silenzioso qui/Sopra migliaia e migliaia di sepolti/Io sono ogni vecchio/Ucciso qui/Io sono ogni bambino/Ucciso qui/Nulla di me potrà mai dimenticarlo/Che l' "Internazionale" tuoni/Quando l'ultimo antisemita sulla terra/Sarà alla fine sepolto./Non c'è sangue ebreo/Nel mio sangue/Ma sento l'odio disgustoso/Di tutti gli antisemiti/come se fossi stato un ebreo/Ed ecco perché sono un vero russo. (Evgenij Aleksandrovič Jevtušenko)


                                                                      
                                 
                                   
                             Carlo O. Gori


                          






(*successivamente vi  sono stati edificati vari monumenti)





domenica 20 gennaio 2013

C.O. Gori. Storia. Sessantotto e dintorni. Politica o "brigatismo"? Da una vecchia poesia epica di Luca Canali, la ricerca di una possibile motivazione per una scelta tragica ed inutile

Un funerale, una riflessione storica ed una poesia...

I funerali odierni, ampiamente "coperti", nella maniera che abbiamo visto anche in tv, di un fondatore "storico" delle Brigate rosse, Prospero Gallinari (che ammise l' "errore", ma non condannò mai "in toto" la sua esperienza), mi portano a riflettere brevemente, sul fenomeno del "brigatismo" di sinistra che per vari anni, purtroppo, insanguinò il nostro Paese e che vide implicata, in vari modi e frangenti, una parte dei giovani d'allora (e non certo la parte  maggioritaria che invece continuò a prediligere il confronto politico) che dallo spirito e dagli ideali del '68 aveva tratto lo spunto per il cambiamento della realtà sociale esistente. 
Non voglio quindi assolutamente accreditare la semplicistica equazione che in tempi più recenti ha preso comodamente piede, a partire dalla vulgata proveniente dalla destra per andare..."oltre" e cioé : Sessantotto = Terrorismo. 
Ma come sorse, da una "costola" del '68 e passando per gli eventi del "movimento del '77", e soprattutto, "perché", quel cruento, ma tutto sommato settario e minoritario, fenomeno della "galassia brigatista" degli anni Settanta-Ottanta?  
Non ho certo la pretesa  spiegarlo qui, io ed ora, ed in poche righe, visto che in proposito esiste anche una vasta pubblicistica sulla cui scorta, chi lo vorrà, potrà costruire il suo parere. 
Dirò solo che, pur collocandomi "a sinistra", da un punto di vista umano e politico non approvo quella scelta che coinvolse la vita di alcuni "militanti" e delle loro vittime, e dico questo non perché mi voglia accodare ad una moralistica e spesso ipocrita ed  interessata condanna della violenza politica da parte di coloro, pochi ed "in alto", che a livello planetario hanno da difendere, con tutti, e dico tutti, i mezzi (leciti e illeciti) il loro potere ed i loro privilegi, spesso ottenuti con la violenza in tutte le sue forme, oppure mistificando con i media la realtà e violando le leggi, emanate da loro stessi e da i loro dipendenti e/o sodali.  
Sono per carattere e formazione culturale ed umana fondamentalmente predisposto alla discussione, allo scambio d'idee, al convincimento "dell'altro" ed anche, quando necessaria, alla protesta - politica, sindacale, sociale - "decisa", ma non-violenta, tuttavia in determinate situazioni storiche e geografiche, per la tremenda violenza del potere, la scelta democratica e non-violenta spesso non è stata sufficiente per difendere o conquistare una dignitosa sopravvivenza da parte delle "classi subalterne", oppure per creare una società più giusta e vivibile. 
Detto questo non mi pare però che nell'Italia d'allora, come molti oltre a me capirono, non ci fossero più i margini democratici per un cambiamento, "di massa" ed anche "deciso", della realtà esistente, che l'unica soluzione esistente  non potesse essere altra che la lotta armata. 
Certo che per annichilire "il movimento" progressista dei giovani protestatari o delle classi lavoratrici, c'era anche la poliziesca cosiddetta "repressione di stato", come allora veniva chiamata, e soprattutto, ad essa successivamente si aggiunse lo "stragismo" terrorista che da Piazza Fontana a Milano in poi (P.za della Loggia a Brescia, Treni, Bologna ecc. ecc.) colpì  indiscriminatamente tutta la società. 
Manovre orrende, tese ad uccidere "a caso" non pochi "normali" e indifesi cittadini...per impaurirne molti, e volte al conseguimento di "oscure-ma-chiare" (ma mai definitivamente chiarite) "risolutive" mene politiche "normalizzatrici", verosimilmente promosse da settori operativi (vd. Gladio, P2, ecc. ecc.) di "poteri forti" economico-politici, nostrani ed esteri (nell'ambito del confronto Est-Ovest eravamo anche noi in Italia "a sovranità limitata" e  lo siamo sostanzialmente per altri versi ed in altre forme, anche "a Muro caduto", tutt'oggi...) che, con appoggi in segmenti dello Stato e spesso con manovalanze reclutate nella destra squadrista, provocarono enormi lutti e sofferenze. 
Fu allora il "brigatismo rosso" (con tutta la galassia delle altre mille sigle "collaterari" e "diffuse" della lotta armata metropolitana sorte poi dal "movimento del '77") una risposta alla violenza dei "poteri forti" e della destra?  
A mio avviso in parte, ma solo in parte, inizialmente, si, (visto che sia le BR come i Gap di Feltrinelli,  i Nap, ecc. ecc., tutti nascono, nel timore per un colpo di Stato "stile greco" ritenuto imminente, dall'anno 1970 in poi, e quindi "dopo" Piazza Fontana, che è del dicembre 1969),  ma poi, in gran parte... decisamente no!!! 
Diciamo piuttosto si volle poi , da parte dei, a volte troppo benevolmente a sinistra, cosiddetti "compagni che sbagliano", intraprendere una tragica (seppur "mirata" negli obiettivi individuali rispetto all'indiscriminato  "stragismo") "scorciatoia rivoluzionaria"; "scorciatoia" settario-elitaria clamorosa ed insensata (caso Moro ed altri), poiché nel tessuto sociale mancavano, a livello popolare e nella sinistra, i presupposti che potessero giustificare, motivare e sostenere tale azzardato "salto".  
Infatti da parte delle forze autenticamente democratiche venne immediatamente, a livello di massa, una forte e poi risolutiva risposta politica, sia al "brigatismo nero" neofascista (vd. Nar, Ordine nero, Terza posizione ecc.) e allo stragismo golpista "di destra" (a tutt'oggi, nei mandanti, ampiamente impunito) che al "brigatismo rosso di sinistra".
Per concludere e per cercare di comprendere, ovviamente solo in parte, ma beninteso non approvare, le ragioni di chi, partendo dal '68 fece allora a sinistra la sciagurata scelta della lotta armata, voglio qui sotto proporre e riprodurre  "(scannerizzata") una significativa poesia epica, coeva (è stata pubblicata per la Bur nel '79 nella raccolta "La deriva"), di Luca Canali, noto latinista e letterato. Poesia in parte "storica" e "datata", ma leggendola bene, in molte parti, purtroppo, ancora attuale.
A volte autori di poesie, romanzi, narrativa, memorialistica, pièces teatrali, films, documentari, come anche i giornalisti nei loro articoli, libri, o servizi televisivi, cercano onestamente di spiegare al lettore, spesso riuscendoci, la storia... comunque sovente con risultati  nella forma (la sostanza va sempre e comunque verificata e da ciascuno valutata) migliori di quanto normalmente riescono a fare la maggior parte degli storici italiani "politicamente tesserati" (eccezioni, poche e valide, ci sono, ma ahimè confermano la regola...) in tanti loro supponenti, barbosi,  ed illeggibili saggi accademici.


                                                

                                    COG     














SULLA   LOEB LIBRARY

Sulla Loeb Library, la Teubneriana, Les Belles Lettres (1),
alle nostre spalle cattedratiche un manifesto asseriva:
il rosso fa paura soltanto agli animali con le corna.
L'Istituto di Latino a Pisa brulicava di ragazzi
dai volti accesi e torvi e gli occhi lucenti.
Non ricordo discussioni più serie, amicizie più solidali, discipline
più ferree di quelle di mesi vissuti con l'immaginazione
al potere su isole rinate a una vita che si andava spegnendo
malgrado gli sprechi e gli sfarzi luminescenti dei nuovi ricchi.

Era di nuovo la provincia addormentata, destata
solo dall'incentivo del profitto, era il potere dei notabili
nei comuni, nelle regioni, nei rami del parlamento, nei circoli,
nelle famiglie, nell'aria con l'antico fetore di orina
e naftalina fuori dagli armadi sul paese che si gonfiava
di popcorn e dollari elargiti per aspirare fuori gli ideali
e acquistare acciaio riciclato per impiantare fabbriche
e dare lavoro agli italiani delusi ma sazi
- e la sazietà è sacra - anche se gli animi cominciavano
a offuscarsi e a languire al pari di gufi bagnati.
Era il modello del pezzente soprasviluppato, invaghito
della nazione solo nelle finali europee di foot-ball,
era la rivoluzione tradita, collega De Felice (2),
che alle rivoluzioni tradite non credi, era la rivoluzione
che aveva dato scarpe, saponette, preservativi, utilitarie
a molti, ma non aveva toccato il cuore a nessuno,
e non dirai che le rivoluzioni non devono cambiare l'uomo
nell'animo e non solo nei succhi dell'epigastro. Non dire
                                                                   [idealista,
non bluffare con la questione della priorità della struttura
                                        [economica sulle sovrastrutture;

dico che comprare un popolo e rivenderlo agli stessi padroni,
ingrassarlo (quando riesce) per poi lasciarlo stordito,
sottomesso, deluso attaccato al quattrino e al santo
patrono come alle due divinità della sua fede annacquate,
significa tradirlo.

I partiti sulla loro scacchiera di piani alternati,
con i loro esperti e uomini di studio impenetrabili,
erano tutti finiti nella stretta della politica di potenza;
allora qualcuno cominciò a gridare, voci inesperte
si levarono nel vento sfiorando tutte le strade d'Europa
con un soffio di vita, non giusta o ingiusta, ma autentica,
e rovesciarono cattedre d'imbonitori e delfini stearici
insediati dalla tresca delle clientele. Si ricominciò a sorridere,
a dire che il re era effettivamente nudo;
nessuno poteva credere seriamente a una rivoluzione di studenti,
                                                                 [ma pensare si poteva
di mettere un punto e ricominciare insieme da capo
una strada per uomini liberi nati dalla fioritura della resistenza,

I ragazzi in effetti malmenarono qualche innocente,
fomicarono talvolta nelle Facoltà occupate invece di stilare
documenti di lavoro, imbrattarono i muri con sgorbi alla
                                                                 [Siqueiros (3),
 ma poi dovevate venire e pensarci voi, metalmeccanici,
braccianti calabresi, pastori sardi, venire
voi, funzionari dei partiti rossi, metter ci in frigorifero
o a scrivere inviti per le assemblee, ma la bandiera della
                                                                 [insurrezione ideale
dovevate prenderla in mano voi; noi avevamo
soltanto zufolato spontanei, dovevate venire
voi con i vostri pugni chiusi e i cori di battaglia,
poi avremmo fatto anche noi la nostra parte.
I metalmeccanici marciarono, ma non per fecondare venti anni,
bensi per gettare sul piatto della bilancia la spada di Brenno
delle forze organizzate, per riprendere in posizione migliore
il cammino delle riforme di struttura, neanche poi realizzate.

Ma certo era difficile in tutti i corpi dello stato
ingaggiare una lotta di classe per uomini duri,
con uomini che nel frattempo divenivano molli, o restavano
vecchi o nascevano teppisti senza un Cristo o un Marx
o un simbolo di onestà in cui si potesse credere.
Proliferarono le congreghe di furbi e l'Italia divenne dai vertici
alla base una nazione di furbi; ma ci demmo la zappa sui piedi,
con la furberia che avevamo quando non serviva, e la
                                                                             [disperazione
quando non si trovava un posto in ospedale o in cimitero.

I giovani escono a frotte dalle scuole e dalle università,
sciamano in cerca di lavoro che si dirada anche per i veterani.
Non avevamo sbagliato dunque a mettere nei programmi di
                                                                                     [latino
il Diario di Guevara, l'Enciclica « Pacem in terris»
di Giovanni XXIII ed Eros e civiltà di Marcuse
insieme a Catullo e a Lucrezio; e non vengano ora
i pappagalli sapienti a blaterare che la causa dell'involuzione
furono le fughe in avanti e gli avventurismi di sinistra,
e non chi volle continuare una strategia di democrazia pitocca
sul fradicio d'una società con le fondamenta rose dagli affaristi
baciapile, ministri corrotti, galantuomini voltagabbana
aggiornàti in managers con depositi oltreconfine e tardivi dubbi
sullo sviluppo della siderurgia in Calabria prima del 1990.

Non vollero ascoltare l'allarme e le canzoni d'amore e d'odio
dei generosi pagliacci del '68, non accettarono la sfida
a giudicare la vita sulla misura dell'intelligenza e dell'estro,
continuando la partita doppia degli scrivani delle società per
                                                                                       [azioni,
ignorando le risorse dell'animo, le vie profetiche dell'arte
l'amore, il dubbio, il tormento dei veri costruttori di civiltà.
Uomini paludati hanno operato con il puntiglio e la miopia
degli scaccini, dei cambiatori di valuta, degli ufficiali di dogana,
dei protettori di Veneri erranti, ed ecco cosa accade,
signori, attenti al deplorevole fatto: avete respinto
l'ordine aleatorio della fantasia, e vi trovate sommersi
nel disordine della pratica ottusa; avete lentamente
ricondotto al conformismo i giovani del '68 che null'altro
potevano offrire che un sintomo di necrosi rifiutata,
e ora trovate il processo aggravato, il morbo
esteso a tutto il corpo dello stato, giunto
alla condizione preagonica. I vostri nemici che ieri
gridavano, oggi sparano, ieri ragazzi grintosi,
oggi nuclei armati proletari e brigate rosse.

                                 Luca Canali

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1 Tre famose collezioni, di diverso merito, di classici latini e greci.
2 Renzo De Felice, chiamato ironicamente collega, per essere profes-
sore universitario: uno degli storici più autorevoli, ma anche più discus-
si, del periodo fascista.
3 David Alfaro Siqueiros, pittore messicano (1898), celebre per i suoi
quadri di ispirazione socialista: « Processo al fascismo », « La nuova de-
mocrazia », « Per una completa sicurezza sociale ».


                                           
                                                           
  
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domenica 13 gennaio 2013

C.O. Gori. Politica. Sulla recente "magnifica impresa" politico mediatica del trio Santoro, Travaglio, Vauro ...& C.!

Il  trio SA-TRA-VA

Qui sotto solo alcuni dei miei recenti post e/o commenti su Facebook circa la recente "impresa" mediatico-politica del trio suddetto.
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Domenica 13.01.13
Dal "Corriere". Sondaggi odierni: a questo punto il centro-destra berlusconiano-leghista è in vantaggio in Lombardia. Bravi!!! Davvero "bravi" questi tre della foto (si fa per dire...anche se sono riusciti a "beccare" l'audience) e gli altri di contorno, al "Servizio Pubblico". Siete riusciti a rimettere mediatico-politicamente "in circolo" il mefistofelico imbonitore televisivo  che riesce a prendere il voto di quel 30% di "menti non pensanti" che in tutte l'elezioni...."abbocca". 
Bravi davvero, complimenti a voi e al "Foglio"...politicamente siete dei bei...caz....oni!"  ...e pensare che negli effetti del "contrasto" mediatico-politico "anticavaliere" sono, rispetto a questi tre, televisivamente emersi addirittura un Vespa "ultima maniera", una Gruber, un Giletti... ...il trio SA-TRA-VA di "servizio pubblico" (più le due volonterose, ma "mediaticamente incapienti", sedute lì e gli altri di contorno): davvero "bravi!!!": che facciano i saltimabanchi (che lì riescono) ma per-l'amor-di-dio...che non facciano politica!!! Vadano piuttosto in piazza non a far politica-tv, ma a vendere, lupini, brigidini, sanguinacci, castagnacci e quant'altro di più concreto...Insomma ...questa di "Servizio pubblico", alla prova del "Fatto", s'è dimostrata ....la banda del... corpo sciolto!!!  ...solo un toscanaccio altamente scoglionato e disincantato, versato alla presa-di-culo (magari un Benigni o un Renzi) e lì non c'era (sì è vero, c'era il pistoiese Vauro, bravo, ma troppo "schierato"  evignettisticamente "collocato", e quindi proprio per questo impossibilmente ..."scoglionato") avrebbe potuto tener meditico-politicamente testa a S.B...

A Giovanni Commare e Luisa Rossini piace questo elemento.
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Domenica 13.01.13
Io, nel mio piccolo, pur parlando di politica, di costui (vd. qui sfocatura di foto su tv) sono tentato di non parlarne, almeno fino alle prossime elezioni poiché (Santoro docet, sebbene, pro-domo sua, beneficiato nel portafoglio dell'audience), sul piano del risultato politico, il mefistofelico genio di imbonitore televisivo del Cavaliere rischia ancora una volta di far breccia nelle menti (si fa per dire), non tanto dei suoi interessati sostenitori o degli avversari, ma di coloro i quali non si interessano di politica e vanno a votare solo all'ultimo momento, magari dopo aver spento la tv o posato sul tavolo di casa la "Gazzetta" o "Chi" (e questi possono fare o colmare la differenza: io imporrei, elezione per elezione, la personale e faticosa iscrizione alle liste elettorali come fanno in Usa e nei Paesi anglosassoni....) ed oggi in questo modo tornerebbe ancora una volta a mandare a segno la bocciata...si diceva una volta "nel bene o nel male purché se ne parli" e "lui" questo lo sa bene...
A Luisa Rossini Roberta Favi e Claudio Gerati piace questo elemento.
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Venerdì 11.01.13
Sono d'accordo con Fabio. Indubbiamente S.B.,oltre a tante altre cose, negative o positive, secondo i punti di vista, è anche e soprattutto un grande genio dello spettacolo, e non lo dico in senso dispregiativo. Pensiamoci: ha fatto la gavetta negli spettacoli sulle navi da crociera, ha poi costruito la "spettacolare" Milano2, ha poi affermato (sul "come" è altro discorso) la tv privata marcando la differenza dalla tv-di-Stato proprio nello spettacolo, ha quindi preso il Milan quando il calcio stava veramente divenendo calcio-spettacolo, è "sceso in politica" criticando il "teatrino della politica", ma ne ha saputo fare, anche, un vero spettacolo ecc. ecc. Oggi per recuperare il voto non tanto dei "convinti di schieramento" (su quello semmai deve oggi far la guerra ai montiani) ma di quella non piccola massa di chi non si interessa di politica, non sa se andare a votare, e se va "vota di pancia" (e le elezioni si vincono anche e soprattutto con quelli) SB sa che gli serve lo spettacolo e mette in campo tutto il suo genio televisivo di spettacolo. Con Santoro, su quel piano, "non ci poteva esser partita". Santoro, anche lui, oltre ad altro, uomo di spettacolo tv e quindi con gli inviti alla sua trasmissione con occhio rivolto soprattutto all'audience (e quindi al suo portafoglio), dal confronto con S.B. non poteva che soccombere. Su questo a S.B., obiettivamente, da altra sponda...chapeaux!
A Fabio Pacini piace questo elemento
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                                        COG                                                                                         

venerdì 4 gennaio 2013

C.O. Gori. Storia dello Sport. Calcio. 1. Tornei scomparsi: i successi degli azzurri nella vecchia e dimenticata Coppa Internazionale


Coppa Internazionale: il primo trofeo vinto dalla Nazionale italiana di calcio

Questa volta scrivo di sport ed in particolare di calcio, ed in quel senso, di qualche curiosità storico-statistica. La storia del genere umano è anche storia di giochi e giochi sportivi con tutto che comporta nelle relazioni umane e sociali. La prendo un po' larga: nello scorso 2012 si è svolto l’appuntamento internazionale più importante per squadre di calcio nazionali a livello continentale e cioè il Campionato Europeo svoltosi in Polonia e Ucraina nel quale la Nazionale italiana ha concluso al secondo posto perdendo in finale, malgrado le entusiasmanti prove precedenti, contro la Spagna per 0-4. 
In effetti nella storia si questo torneo la Nazionale italiana non ha mai brillato almeno tanto quanto invece ha spesso fatto nel Campionato Mondiale (a suo tempo denominato anche Coppa Rimet dal suo ideatore): volutamente assenti dalle due prime pionieristiche edizioni del 1960 e 1964 (appannaggio rispettivamente di Urss e Spagna) gli azzurri vinsero la terza edizione del 1968 la cui fase finale venne giocata in Italia grazie anche alla ricorrenza del settantesimo anno di vita dalla nascita della Federcalcio. Fu quella una vittoria meritata, ma un po’ rocambolesca come vedremo in un prossimo post.
Negli altri “europei” seguiti a quella vittoria del ’68 l’Italia oltre al 2° posto dello scorso 2012 (con la Spagna non c’è stata partita), è arrivata seconda in Belgio-Olanda nel 2000, quella volta davvero a un passo dalla vittoria perché la Francia trovò il paraggio a tempo regolamentare scaduto (ero già pronto, come tutti, per andare a festeggiare, ma poi ci furono i supplementari col golden goal francese...), poi è arrivata terza pari-merito (e mi ricordo che in quel torneo la nazionale mostrò un bel gioco) con la Germania nell'edizione del 1988  tenutasi in Germania, ed infine giunse quarta nel torneo del 1980 giocatosi in Italia.
Ma non era di questo che volevo qui scrivere, tornerò in seguito sugli Europei, infatti la ragione di questo post è un’altra e cioè riportare alla luce (ripeto: anche la storia del calcio come di altri sport…è storia!) un passato torneo europeo per nazionali, oggi quasi dimenticato, che si svolse dal 1927 al 1960  (nel quale tra l’altro la Nazionale italiana trionfò due volte)  che rappresenta l’antesignano dell’odierno Campionato Europeo per Nazioni: la vecchia Coppa Internazionale.
La Coppa Internazionale (si disputarono sei edizioni, dal 1927 al 1960, nella prima parte fu detta anche Coppa Antonín Švehla e nell'ultima parte venne detta anche Coppa Dr. Gerö, da nomi degli animatori e organizzatori a livello politico-sportivo) è stata infatti la prima competizione continentale per squadre nazionali di calcio regolarmente disputata in Europa, alla quale partecipavano le nazionali dell'Europa centrale che allora, a parte la pretenziosa e “isolazionista” Inghilterra che si ostinava a non partecipare ad alcuna competizione internazionale ufficiale, ad eccezione del tradizionale Home Championship delle nazionali britanniche,  rappresentavano  il meglio del calcio continentale. Occorre tuttavia precisare che parallelamente all’edizione principale della Coppa Internazionale si svolgeranno anche, negli anni 1929-30  e  1931-34, due particolari edizioni “ridotte” per squadre nazionali dilettantistiche vinte rispettivamente dalla Polonia e dalla Romania.
Il gioco del calcio degli Anni Venti stava uscendo dal suo periodo pionieristico e, come accadeva per molti altri sport, si incominciava ad organizzare competizioni, anche a livello di squadre nazionali, che mettessero a confronto la varie scuole sportive. In campo calcistico a livello di Clubs, Hugo Meisl, dirigente della federazione austriaca aveva già concepito ed organizzato la Coppa Mitropa, competizione per squadre di club allora e per lungo tempo (sicuramente almeno fino al 1939) importantissima e prestigiosa, autentica antesignana della Coppa dei Campioni e sempre lui ideò poi la Europapokal der Fußball-Nationalmannschaften ovvero la Coppa Internazionale per squadre nazionali.
I quattro membri fondatori della competizione furono Austria, Italia, Cecoslovacchia e Ungheria, alla quali associò la Svizzera, infatti il calcio "danubiano", fondato  sul possesso di palla e sul dinamismo dei ruoli, era indicato come esempio di stile e di eleganza, mentre quello italiano, più concreto e utilitaristico, era però destinato a raggiungere i maggiori allori internazionali, laureandosi campione del mondo nel 1934 e nel 1938 e campione olimpico nel 1936.
La prima stagione della Coppa Internazionale si svolse negli anni 1927-1930. La sua formula, che anche nelle edizioni successive rimase immutata, prevedeva la disputa di un doppio girone “all'italiana”: ciascuna delle squadre nazionali si incontrava due volte, una in casa ed una in trasferta, con le altre, con un calendario non rigidamente prefissato per tutte in "giornate" , le partite venivano infatti disputate secondo  le disponibilità delle federazioni ad organizzare ogni singola partita. La vincente di ogni match totalizzava due punti, mentre col pareggio veniva assegnato un punto a testa. Risultava vincitrice del trofeo la squadra che alla fine del doppio ciclo di partite totalizzasse più punti in classifica. 
La prima edizione 1927-1930 fu dunque vinta dall'Italia, che sotto la guida del mitico CT Vittorio Pozzo, precedette di un punto la squadra austriaca (terza Cecoslovacchia, quarta Ungheria, quinta Svizzera). La vittoria azzurra non venne a caso perché già nel corso dello svolgimento della prima edizione della Coppa Internazionale l’Italia si era calcisticamente per la prima volta distinta a livello internazionale nel 1928 nella parentesi del torneo olimpico di Amsterdam destando buona impressione (aveva tra l’altra battuto la 4-3 la Francia e la Spagna per 7-1). 
In quella prima edizione della Coppa Internazionale , la nazionale italiana (gli “azzurri”, dal colore della maglia che era anche il colore di Casa Savoia, colore che poi, per tradizione, rimarrà, seppur con altre tonalità, fino ad oggi) pareggiò 2 – 2  con la Cecoslovacchia a Praga il 23 ottobre 1927, nella seconda partita perse in casa a Bologna 6 novembre 1927 battuta dall’Austria 0-1, battè  poi in casa 3-2 la Svizzera a Genova, il 1 gennaio 1928 e l’Ungheria 4 – 3 a Roma 25 marzo 1928, proseguì poi battendo 3-2 la Svizzera a Zurigo il 14 ottobre 1928, e 4 - 2 Cecoslovacchia a Bologna il  3 marzo 1929, ma perse di nuovo con l’Austria questa volta a Vienna, il 7 aprile 1929,e concluse battendo l’11 maggio 1930 l’Ungheria a Budapest per 5-1. In sostanza, benché sconfitta due volte dal “Wunderteam” austriaco,  l’Italia vinse nel punteggio la classifica finale perché quest’ultimo era stato sconfitto tre volte, due ad opera della Cecoslovacchia e una dell’Ungheria.
Furono italiani con sei reti a testa anche i capocannonieri di quel torneo:  Julio Libonatti (oriundo proveniente dall’Argentina) e Gino Rossetti che insieme in campionato formavano nel Torino la coppia del gol (come accadrà in tempi più recenti per Graziani e Pulici)   costituendo con il cervello di quella squadra, Adolfo “Balon” Baloncieri il famoso “trio delle meraviglie” che porterà i granata a vincere due titoli di campione d'Italia (uno poi revocato) ed un altro 1928-29 perso nella finalissima con i forti rossoblù del Bologna  (che poi a livello internazionale di club vinceranno la Mitropa nel 1932 e nel 1934) malgrado la squadra granata segnasse ben 117 reti in 33 partite.
Nota curiosa: alla fine di quel primo torneo continentale: il trofeo vinto dagli italiani e consistente in un coppa in cristallo di Boemia si ruppe cadendo a terra in treno nel viaggio di ritorno degli azzurri.
Visto l’enorme successo della prima edizione della Coppa Internazionale ne fu subito organizzata una seconda edizione, disputata nel biennio 1931-1932,  che vide la vittoria del “Wunderteam” austriaco che precedette nella classifica finale l’Italia (terza Ungheria, quarta Cecoslovacchia, quinta Svizzera) benché questa volta gli azzurri fossero riusciti a superare in uno dei due match i pericolosi “bianchi” danubiani.
La terza edizione della Coppa Internazionale si svolse dal 1933 al 1935, e fu ancora appannaggio dell'Italia che nel corso del lungo e lento svolgimento di quel torneo continentale aveva già vinto in finale a Roma il suo primo Campionato del Mondo, competizione svoltasi nella Penisola  da 27 maggio al 10 giugno 1934.
In quella terza edizione della Coppa Internazionale l’Italia precedette ancora una volta l’Austria (terza Ungheria, quarta Cecoslovacchia, quinta Svizzera).
La nazionale italiana perse con l'Austria a Torino per 2 - 4  l’11 febbraio del 1934, ma seppe riportare una decisiva vittoria per 0-2 (doppietta di Silvio Piola al suo esordio in azzurro) a Vienna il 24 marzo 1935 quando gli azzurri erano ormai ben più motivati, consci di essere i campioni del mondo in carica.
Nel torneo la nazionale italiana aveva precedentemente sconfitto 3-0  il 2 aprile 1933 a Ginevra la Svizzera, aveva battuto a Firenze il 7 maggio 1933 per 2-0 la Cecoslovacchia, era poi andata a vincere a Budapest contro l’Ungheria per 1-0 il 22 ottobre 1933, aveva nuovamente battuto la Svizzera per 5-2 il 3 dicembre 1933 a Firenze, ed infine aveva pareggiato 2-2 con l’Ungheria il 24 novembre 1935 a Milano. Questa la formazione campione: Luigi Allemandi, Luigi Bertolini, Felice Borel, Umberto Caligaris, Renato Cattaneo, Renato Cesarini, Carlo Ceresoli, Gino Colaussi, Gianpiero Combi, Giordano Corsi, Raffaele Costantino, Attilio Demaria, Ricardo Faccio, Giovanni Ferrari, Enrique Guaita, Anfilogino Guarisi, Ernesto Mascheroni, Giuseppe Meazza, Luis Monti, Eraldo Monzeglio, Raimundo Orsi, Silvio Piola, Alfredo Pitto, Mario Pizziolo, Roberto Porta, Virginio Rosetta, Angelo Schiavio, Pietro Serantoni
L’Italia nel frattempo, sempre sotto la guida di Pozzo, campione olimpica a Berlino nel 1936 (anche in questo torneo quello del '36 resta per ora l’unico titolo vinto dagli azzurri), non poté onorare il titolo continentale perché la quarta edizione della Coppa Internazionale (1936-1938) venne interrotta e il trofeo non fu assegnato a causa dell'annessione dell'Austria alla Germania nazista il 12 marzo 1938, con l'Ungheria che era provvisoriamente al primo posto e con gli azzurri ancora imbattuti. La Nazionale avrà in breve comunque modo di ampiamente rifarsi vincendo di lì a poco il suo secondo Campionato del Mondo  svoltosi dal 4 giugno al 19 giugno 1938 in Francia.
Negli anni successivi, a causa delle vicende belliche, Coppa Internazionale non fu disputata, ma già pochi mesi dopo la fine della guerra i paesi europei che in precedenza avevano animato la competizione si misero in moto per rilanciarla. Così a partire dal 1948 venne disputata la nuova edizione (1948-1953), la quinta. Le difficoltà della ricostruzione nell’immediato dopoguerra  e l’inizio della “guerra fredda” est-ovest imposero tuttavia una scansione alquanto dilatata delle partite. Ungheria e Cecoslovacchia nel 1948 andarono incontro a un cambiamento di regime politico e finirono poi al di là della cosiddetta “cortina di ferro” in zona sovietica. Questi avvenimenti politici estranei al calcio ovviamente resero estremamente difficile l'organizzazione del torneo. Occorsero quasi cinque anni per terminare il ciclo degli incontri di Coppa Internazionale: alla fine vinse l'allora grande Ungheria di Ferenc Puskás (capocannoniere con dieci reti), che conquistò così (a parte le successive vittorie olimpiche del 1952-1964-1968) il suo unico titolo rilevante. La nazionale italiana, reduce dalla tragedia di Superga che colpì nel 1949 il “grande Torino”, ossatura della Nazionale, non seppe andare oltre il penultimo posto, appena sopra la Svizzera, proverbiale squadra-materasso" di questa competizione.
La Coppa Internazionale venne disputata per la sesta (1955-1960) e ultima volta sotto la direzione della neonata UEFA, ed oltre alle cinque squadre venne allargata anche alla Jugoslavia. Il torneo si trascinò stancamente per ben sei anni (1955-1960) termine dei quali vinse una Cecoslovacchia in netta crescita,  infatti in Cile, di lì a due anni, avrebbe raggiunto la finale, persa contro il Brasile di Pelè e Garrincha.  Anche questa volta l'Italia concluse l’edizione della Coppa Internazionale nuovamente relegata al penultimo posto davanti alla Svizzera.
Nel 1960 con la fine della sesta edizione, la Coppa Internazionale, a fronte di fenomeni nuovi, dai cosiddetti “maestri del calcio” inglesi che si erano ormai “degnati” di disputare e confrontarsi in tornei con altre nazionali non britanniche, all'avvento a livello tecnico di nuove scuole calcistiche continentali quali la Spagna, l’Urss e la stessa Francia, ormai aveva perso molto del suo originale significato ed interesse, quindi l’UEFA pensò bene di sostituirla con una competizione ben più rappresentativa quale il Campionato d'Europa per Nazioni sul quale mi soffermerò in una prossima puntata. 


                                  
                                  Carlo Onofrio Gori







Nelle foto in alto la Coppa, Libonatti e Rossetti (qui in divisa del Torino) capocannonieri del primo torneo vinto dell'Italia e Piola e Pozzo vincitori nel 1933-35


Leandro Piantini e Andrea Capecchi piace questo elemento.

martedì 1 gennaio 2013

C.O. Gori. Attualità e Storia. Esperienze socialiste. Venezuela. Hugo Chavez

Il Venezuela e Chavez


Il 31 dicembre, come ha informato il vicepresidente venezuelano, Nicolas Maduro, suo successore designato nell'ambito del Partido Socialista Unido de Venezuela, permangono ancora  precarie le condizioni del Presidente venezuelano  Hugo Chavez dopo le complicazioni in seguito ad un'ennesima operazione subita all'Avana volta a contrastare il tumore che da un anno lo ha colpito. 
Non si sa se Chavez sarà in condizioni di presentarsi a Caracas al giuramento del prossimo 10 gennaio che lo dovrebbe riconsacrare alla presidenza dopo le recenti elezioni da lui ampiamente vinte, al che, sembra, dovrebbero ripetersi. Comunque da parte mia sinceri auguri a Hugo Chavez!
Sul "fenomeno" Chavez ed il Venezuela avevo scritto in alcuni post  nel mio Diario Facebook e sul mio blog Historiablogori, che qui sotto in sequenza (partendo dal post più recente e scendendo giù giù verso il più vecchio, come di solito si usa fare sui computer...ma non sui libri..) qui ripropongo con qualche commento compreso:
Facebook. 8 ottobre 2012. "Venezuela: il socialista-bolivariano parlamentarista Chavez vince alle elezioni di buona misura sul liberista Capriles…ma non è tutto oro quel che luccica. A quanto ne so, e ovviamente su notizie mediatiche di seconda mano (infatti bisognerebbe sempre aver vissuto per un po’ in loco per esprimere giudizi certi). Apprezzo lo spirito di questo “soldataccio”, da tempo convertito al “suo” socialismo, nell’opporsi, in controtendenza, insieme a pochi altri (“sinistre” comprese) anche dopo la caduta del muro, all’insano e sfrenato liberismo che ha pervaso il mondo di questi nostri ultimi tempi, da Reagan-Thatcher in poi, ed i cui “benefici” effetti sono ultimamente sotto gli occhi di…quasi…tutti (salvo quel maledetto 10% di fisiologici speculatori finanziario-economici che ancora oggi fanno il bello e cattivo tempo). Ugualmente apprezzo il suo impegno nell’opporsi alla politica Usa, che spesso trascendendo da “destre” e “sinistre” interne, vorrebbe continuare ad imporre a tutti, anche manu militari, aperta o subdola, la sua visione del mondo sulla base dei propri interessi …. di bottega… e non si sa più, oggi, sulla base di quanto concreto e reale potere economico-finanziario. In tal senso Chavez ha stretto amicizie un po’ dubbie, come “carte in regola”: da Gheddafi a Assad, da Ahmadinejad a Lukashenko, a Putin ecc. … ma si sa, il nemico del mio nemico… è mio amico. Tuttavia, in un Paese ricco di petrolio come il Venezuela, anche se la maggior parte delle risorse, sembra siano state impiegate, da quando Chavez è al governo, sostanzialmente, a favore del benessere del suo popolo, mi sembra abbia da risolvere alcuni problemi: 1. In questa fase economica mondiale non ci vuole “rigidità” ideologica statalistica  di ritorno" , bensì una “sapiente” duttilità, col l'obiettivo del benessere concreto, del popolo, al primo posto "qui e ora" (e non ad es. "futuro-che non-vien-mai" dei vecchi piani quinquennali sovietici). 2 . Il socialismo fallisce se si creano “carrozzoni” statali con alla guida partenti, amici e benefattori…con corruzioni connesse. 3. Ha da risolvere il problema della fortissima criminalità presente in Venezuela. 4. Il populismo “caudillista”, tipico e ricorrente, nei paesi latino-americani ha storicamente il fiato corto: occorre sempre creare una nuove équipe dirigente strettamente legata al popolo…altrimenti… quando muore il leader…che succede? Chi vivrà, se vorrà vedere, vedrà.  (A Ilde Battistin piace questo elemento)."
Facebook, 28 dicembre 2011.  Carlo Onofrio Gori: "Atroce dubbio: la C.I.A. (Central Intelligence Agency -Usa) ha forse trovato il sistema per indurre i tumori? Non sono né medico, né scienziato, ma ho sentito ora alla tv che anche Cristina Elisabet Fernández de Kirchner, Presidente progressista dell'Argentina, dopo i leader (in attività o pensionati) latinoamericani "izquerdistas" Fidel Alejandro Castro Ruz (Cuba), Hugo Rafael Chávez Frías (Venezuela) e Luiz Inácio Lula da Silva (Brasile), ha un tumore...mah??!!
Maria Rosaria De Vivo. Già da molti anni i ricercatori inducono i tumori nelle cavie in modo da testare le relative terapie; quindi credo sia relativamente facile per la CIA, l'etica dei cui dipendenti è, in linea di massima, pari a zero, reclutare scienziati in grado di inoculare il gene del cancro negli esseri umani...pensare il peggio non è abbastanza quando si parla di questa gente (28 dicembre 2011 alle ore 14.17)
Carlo Onofrio Gori. In effetti è vero, e storicamente è stato più volte dimostrato, come la realtà spesso superi ogni impensabile fantasia!!! Ma qui la politica, sommata al numero, sembra fugare ogni "fantasa", certo non dimostrabile, ma facilmente (mala tempra currunt) intuibile...(28 dicembre 2011 alle ore 14.36)
Maria Paola Vannucchi. Certo che la coincidenza è strana. Che " mala tempora currunt" poi non ci sono dubbi! (28 dicembre 2011 alle ore 15.22)
Carlo Onofrio Gori: ...come diceva il vecchio Giulio A.(vivente): "a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci s'azzecca!" (28 dicembre 2011 alle ore 15.50)."
Historiablogori. Martedì, 17 febbraio 2009. "La notizia: Referendum in Venezuela, vince Chavez. Nessun limite alla sua rielezione.Il presidente potrà candidarsi tutte le volte che vorrà: «Abbiamo aperto le porte del futuro».Messaggio di congratulazioni di Fidel Castro." [...seguivano vari articoli di stampa...]
Carlo Onofrio Gori. Storia. Venezuela, America Latina. La vittoria di Chavez. Le cose non  vengono a caso e la storia spiega sempre qualcosa: le origini ed i perché della nuova vittoria di Chavez in Venezuela. Il Presidente del Venezuela Hugo Chávez è nato  a Sabaneta, Estado de Barinas il 28 luglio 1954 in una povera e numerosa famiglia.
All'età di diciassette anni si arruolò nell'Accademia Venezuelana di Arti Militari. Dopo la laurea in Scienza e Arti Militari Chávez si dedicò allo studio delle Scienze politiche all'Università Simon Bolívar di Caracas.
Negli anni Settanta-Ottanta Chavez si mise spesso in contrasto con le gerarchie politico-militari  non condividendo le azioni di repressione dell'Esercito, in quei tempi utilizzato in appoggio alla Polizia. Cominciò a allora a concepire la sua ideologia “Bolívariana” (una dottrina nazionalista di sinistra ispirata dalla filosofia Panamericanista del rivoluzionario venezuelano dell'800 Simón Bolívar, dall'influenza del presidente peruviano di sinistra generale Juan Velasco Alvarado e dal pensiero di vari ideologi comunisti e socialisti a cominciare da Marx e Lenin) che inizialmente fece proseliti all'interno delle Forze Armate, dando vita già dal 1983 al “Movimiento Bolívariano MBR-200”, costituito per la maggior parte dai cadetti usciti nel 1975 dal corso della scuola militare “Simón Bolívar” .
Tuttavia non si può capire davvero la radicalizzazione politica di Chavez, ed il consenso poi da lui ottenuto fra le masse venezuelane, se non ci si rifà ad una data: il 27 febbraio del 1989, giorno di una grande protesta popolare nella capitale Caracas contro le misure neoliberali del governo di Carlos Andres Perez. Quella immensa manifestazione terminò con uno dei peggiori eccidi della recente storia mondiale: il “Caracazo”. Un bagno di sangue con migliaia di morti, uomini, donne, bambini, vittime della brutale repressione poliziesca. Tra i vari responsabili anche un italo-venezuelano, Italo del Valle, all'epoca ministro della difesa del governo venezuelano.
Chavez promosso al grado di colonnello nel 1991, l'anno seguente, il 4 febbraio 1992, fu protagonista di un colpo di Stato militare che tentò di rovesciare il governo di Carlos Andrés Pérez. Il golpe fallì causando, secondo le voci ufficiali del Ministero della Difesa, 14 morti e 53 feriti e Chávez fu arrestato ed imprigionato. Il suo arresto suscitò un ampio movimento popolare che ne chiedeva la liberazione: riacquistò la libertà nel 1994 grazie a un'amnistia, ma dovette abbandonare le Forze Armate.
La sua ascesa politica cominciò a prendere corpo già durante gli anni nel carcere di Yare in Valles del Tuy. Chávez fondò il Movimento Quinta Repubblica. Chávez  e fu poi eletto alla Presidenza del Venezuela, nel 1998 grazie alle sue promesse di aiuto per la maggioranza povera della popolazione del Venezuela. E’ stato poi  rieletto nel 2000 e nel 2006.
In patria Chávez ha promosso le Missioni Bolívariane (« Simón Bolívar, padre della nostra Patria e guida della nostra Rivoluzione, giurò di non dare riposo alle sue braccia, né dare riposo alla sua anima, fino a vedere l'America libera. Noi non daremo riposo alle nostre braccia, né riposo alla nostra anima fino a quando non sarà salva l'umanità » . Hugo Chávez, Discorso alla sessione per il 60° anniversario dell'ONU, 15 settembre 2005), i cui obiettivi sono quelli di combattere le malattie, l'analfabetismo, la malnutrizione, la povertà e gli altri mali sociali. In politica estera si è mosso contro  gli Usa di Bush sostenendo modelli di sviluppo economico alternativi, richiedendo la cooperazione dei paesi più poveri del mondo, specialmente di quelli sudamericani.
Chávez come leader della Rivoluzione Bolívariana promuove la sua visione di socialismo democratico-rivoluzionario, integrazione dell'America Latina e anti-imperialismo ed è inoltre oggi ("Cuando, por la gracia de Dios, vemos el comienzo de la caída del imperio", ha detto) un critico implacabile della globalizzazione neoliberista e della politica estera Usa. 
Questa vittoria di Chavez, segue di pochi giorni quella clamorosa del Presidente boliviano Evo Morales, suo amico e compagno di lotta, che nel referendum del 26 gennaio 2009 ha visto approvato col quasi il 60 per cento dei voti, il suo progetto di nuova Costituzione in fondata sulle autonomie dei popoli indigeni e lo Stato come motore dell'economia, in linea con l' "onda rossa" che percorre il Sudamerica da anni recenti. Ma anche su questi importanti aspetti della nuove realtà dell’America latina ci soffermeremo in prossimi post."
                                                                                                                                     
                                                                                    
                                                                            


                                                      COG       




Ricevo da FB e volentieri pubblico   il 19.01.2013  
El pueblo venezolano consciente del momento histórico que ha venido asumiendo en el proceso revolucionario bolivariano, hoy más que nunca, se encuentra en las calles organizado y movilizado en la defensa del bien más preciado que hemos reconquistado después de 200 años: La independencia Nacional
Por tal motivo el próximo 23 de enero, demostrará una vez más al mundo entero la recuperación de la soberanía popular que, en otrora, fue secuestrada por el punto fijismo (las élites de la derecha apátrida) y las falacias de la democracia neoliberal y representativa. El pueblo venezolano junto a la Constitución de la República Bolivariana de Venezuela de 1999, que garantiza un “Estado democrático y social de Derecho y de Justicia, que propugna como valores superiores de su ordenamiento jurídico y de su actuación, la vida, la libertad, la justicia, la igualdad, la solidaridad, la democracia, la responsabilidad social y en general, la preeminencia de los derechos humanos, la ética y el pluralismo político” (Art. 2).
Se mantendrá en pie de lucha, para hacer respetar la Constitución y la estabilidad de las Instituciones del Estado Venezolano, y sobre todo, el respeto al derecho irrenunciable de la soberanía popular, a través del cual resultó electo, el 7 de octubre del 2012, el Presidente Hugo Rafael Chávez Fría.
De igual manera el 16 de Diciembre, la soberanía popular se expresó contundentemente a favor de los gobernadores de la patria y chavistas. Sobre este escenario de victorias y de apuesta por la mayor suma de felicidad posible y al camino del socialismo bolivariano del siglo XXI; los factores punto fijistas, apátridas, y fascistas quieren atentar contra la voluntad popular, como sucedió en los tiempos de la IV República.
Estos factores punto fijistas, hoy quieren acudir a viejos guiones de desestabilización orquestados desde los ámbitos internacionales, refugiándose nuevamente en los grupúsculos de “manitas blancas” o algunos estudiantes de derecha que se inclinan por el no respeto a la Constitución, por la violencia, y el desconocimiento de la soberanía popular, que para el dolor de ellos, intransferiblemente reside en el pueblo y no en los factores oligárquicos que estuvieron acostumbrados a vender la patria y excluir al pueblo de todas las esferas del desarrollo nacional.
Pero hoy, el pueblo venezolano, en su búsqueda del empoderamiento político y el ejercicio de la autodeterminación, la libertad, la independencia, y el valor supremo hacia la construcción de la nueva sociedad socialista; expresa y expresará, ante cualquier acontecimiento, la contundente fuerza de la verdadera democracia participativa y los logros de la revolución bolivariana como la inclusión social, la unión cívico-militar, el poder popular, la soberanía nacional, entre otros, y saldrá al paso ante los deseos frustrados de los puntofijistas y apátridas que no conciben un 23 de enero como la democracia plena y del pueblo ejerciendo la soberanía.
Junto a las presentes e históricas orientaciones y lineamientos de nuestro máximo líder de la revolución bolivariana el Comándate Chávez, el proceso revolucionario bolivariano lleno de pueblo dejará bien claro, este 23 de enero, donde está la verdadera democracia popular, dejará bien claro que el pueblo en este proceso es gobierno, dejará bien claro que hay un Estado con instituciones sólidas, dejará bien claro que hay un pueblo unido entorno a la emancipación social y al amor de un líder histórico, dejará bien claro que el pueblo está activo y movilizado en la calle, dejará bien claro que ¡en Venezuela la soberanía popular se respeta!
Escrito por Carlos Rangel