lunedì 23 febbraio 2015

Risorgimento italiano. "Corrispondenze dall’Italia risorgimentale" di Lev Ili'ič Meč'nikov, 1861-62, a cura di Renato Risaliti

"Corrispondenze dall’Italia risorgimentale" di Lev Ili'ič Meč'nikov, 1861-62


Lev Ili'ič Meč'nikov è un giovane russo dell’Ottocento, colto ed intelligente, acuto, inquieto ed impaziente, studioso e sensibile ai problemi sociali. Proviene da una famiglia ricca di maggiorenti della casata degli Spadarenko di lontana origine ebraica-moldava che ha possedimenti anche in Ucraina a Charcov. Tra l’altro un suo fratello minore, Ilja Ili'ič, diverrà un famoso biologo a sarà premio Nobel 1908 per la medicina ed anche Lev inizialmente studia medicina a S. Pietroburgo, ma poi finirà per laurearsi in fisico-matematica. A Meč'nikov (d’ora in poi, qui, M.) l’amata “grande Russia” che fin da giovanissimo già ben conosce, risulta in fondo per… “stare stretta”, per cui viaggia molto all’estero, e studia, e rapidamente si impadronisce di varie lingue europee ed anche dell’arabo e del turco. M. vuole allargare i suoi già innumerevoli interessi e fra questi l’arte,  avendo frequentato l’Accademia Belle Arti a S. Pietroburgo, e quindi non potrà che finire per amare. anche e soprattutto, l’Italia, attratto dalla sua pittura,  ma anche dai fermenti rivoluzionari ed unitari che agitano la Penisola tanto che diventerà garibaldino e partendo da Firenze con la spedizione Nicotera parteciperà come ufficiale, dalla Sicilia in poi, a varie fasi della Campagna Meridionale, venendo infine seriamente ferito a Capua.
M. ha uno spirito di osservazione e comprensione acutissimo della realtà italiana favorito dalla sua grande preparazione culturale, dalle sue esperienze sul campo e dalla perfetta conoscenza della lingua: da ciò deriveranno le sue numerose corrispondenze dall’Italia – che non sempre riusciranno a passare del tutto indenni attraverso la censura zarista - per le riviste russe "Russkij Vestnik" e poi “Sovremennik”.
Com’è noto, anche da nostre precedenti recensioni, le ricerche di queste corrispondenze di M. negli archivi russi, da parte di Renato Risaliti e dello studioso ucraino Mykola Varvarcev, porteranno alla traduzione alla cura ed alla pubblicazione, per le edizioni del CIRVI, da parte di Risaliti, dello splendido diario-reportage sulla spedizione dei Mille Memorie di un garibaldino (2007), e poi, nel 2011, di Memorie di un garibaldino russo ed altri testi e di Sull'Italia risorgimentale  che riportava tre (Da Siena, Lettere dalla Maremma toscana, Aspromonte) dei tanti saggi di M. sull'Italia, scritti a Campagna conclusa.  
Essendo gli altri articoli dell'intellettuale  russo tuttora in via di reperimento nelle biblioteche russe e ucraine, il lavoro di Risaliti è un work in progress, pertanto in questo 2015 lo slavista italiano pubblica, sempre per le edizioni del CIRVI di Torino, nuovi illuminanti contribuiti di M. raccolti sotto il titolo “Corrispondenze dall’Italia risorgimentale” . Sono nove articoli, scritti e pubblicati fra il 1861 e il 1862 su “Sovremennaja letopis” (Annali contemporanei) allegato del “Russkij vestnik” (Messaggero russo), su cui egli aveva già pubblicato le Memorie di un garibaldino.
Queste nuove corrispondenze di M. pubblicate ora in Italia, frutto dei suoi viaggi e delle informazioni da lui tratte dalla attenta lettura dei giornali della Penisola,  inviate soprattutto da Siena (dove abitualmente in questo periodo risiede ospite di garibaldini locali) o Lucca, sono spesso dei pretesti letterari per delineare, partendo dall’attualità politica, anche le caratteristiche storiche, socio-economiche e culturali di varie regioni italiane.
Seppur unitarie nel tempo (1861-62) varie sono le differenze tematiche nelle corrispondenze di M. raccolte in questo libro. Ad esempio nello scritto dedicato a Crispi e la Sicilia  M. riesce a sintetizzare in modo profondo la diversità fra la religione popolare dei Siciliani e quella dei Napoletani senza trascurare le differenze dalle credenze dei Calabresi e delle altre regioni meridionali, oltre ad individuare le diversità di comportamento fra il clero e il popolo siciliano e napoletano. In quest’ultimo vede,  oltre le apparenze, una profonda incredulità religiosa tale da rasentare l'ateismo ad es. quando i napoletani riescono persino a mercanteggiare la credenza religiosa. In sostanza M. oltre che la profonda, inconciliabile inimicizia fra i Siciliani e i Napoletani (che secondo lui potrà essere solo temperata nell' ambito del processo di integrazione nella costruzione della patria più grande, l'Italia) vede con tanto anticipo tutti i termini della questione siciliana, come aspetto particolare nell’ambito della più generale “questione meridionale”, e nota con acutezza tutte le peculiarità  dell’Isola: “La Sicilia è uno di quei paesi in cui la verità è molto meno simile, alla verosimiglianza; essa in tutti i sensi se ne sta sola soletta e farsene un concetto in analogia con altre parti del mondo, in particolare con le restanti province italiane - è impossibile”.  M. porta ad esempio  invece, l'atteggiamento del clero siciliano, in gran parte favorevole al moto nazionale, diversamente a quello di tutto il resto dell'Italia, fortemente contrario.  I Siciliani per M. hanno sopportato con i Borboni del Regno delle Due Sicilie la perdita dell' autonomia tanto cara al loro clero, ma se con l’Unità  il governo nazionale non verrà loro incontro, questa apparente assenza potrà tramutarsi in un vasto movimento indipendentista. M. quindi si rende pienamente conto che la Sicilia presenta tutti i termini di una questione nazionale che può e deve essere affrontata con una politica che tenga conto delle sue oggettive ed originali peculiarità e viceversa nota invece che Crispi,  con il suo schema ottusamente tout-court unitaristico e la sua tendenza a risolvere i problemi con la forza,  non si dimostra creativo e attento alle particolarità della sua isola natale. Anche in questo caso M. dimostra una perspicacia e una esattezza di analisi fuori del comune ed è un anticipatore geniale di una elaborazione che verrà successivamente da parte delle menti più creative e aperte come ad es. dalle successive indagini di Antonio Gramsci.
In altra corrispondenza M. si sofferma su un particolare aspetto della politica piemontese: quello che ad es. lui rappresenta analizzando il rapporto fra Cavour e Rattazzi. Per M. sono due uomini che, per creare le condizioni avanzamento civile degli Stati sardi, non avevano esitato a fare rinunce serie rispetto alle loro concezioni originarie per trovare un punto medio di incontro.  M., , poco dopo la morte del conte Cavour, riconosce la genialità della sua opera e quindi ne constata la superiorità su Rattazzi, l'uomo della borghesia imprenditoriale che aveva accettato di sacrificare alcune pretese della classe che rappresentava per permettere la governabilità dello Stato piemontese assieme ad una nobiltà che si stava imborghesendo e della quale cui Cavour era un alto rappresentante.  In ciò – come nota Risaliti –  M. intravede una caratteristica che diventerà una costante della storia italiana e cioè “il connubio” fra il centro destra e il centro sinistra.
Del banditismo italiano M. parla invece nel VI capitolo, soffermandosi su coloro che vi entrarono, dagli sbandati ai clerico-borbonici convinti,  e senza infingimenti, da buon laico e fiero anticlericale, ne individua i finanziatori e gli organizzatori nella Curia romana ed in Francesco II.
Analizzando invece le vicende senesi e la locale contesa fra liberali e clericali dopo l’ufficiale proclamazione dell' Unità del 1861, M.  ci introduce nel pieno della lotta politica italiana nel suo corso. La battaglia per il raggiungimento di una concreta e reale unità del Paese prosegue, con non meno vigore, ovunque: fu, quella risorgimentale, una grande lotta dei liberali e dei democratici contro la millenaria influenza politica conservatrice della Chiesa che venne, in quelle circostanze e per lungo tempo (almeno fino al mussoliniano Concordato) sconfitta, malgrado il grande prestigio che la Chiesa ancora aveva nelle masse popolari, soprattutto contadine.
Nel VII capitolo M. ci porta invece nel pieno di una manifestazione popolare a Napoli: un esempio di come la lotta politica post-unitaria fosse accesa, agguerrita e senza esclusione di colpi ed in questa circostanza l'autore descrive e ammira le capacità dei napoletani di organizzare pittoresche manifestazioni di strada.
Nel descrivere, in altro scritto, la figura politica del patriota democratico e federalista toscano  Giuseppe Montanelli ed in particolare la vicenda della sua  elezione a deputato, contestata a lungo,  M. constata che i “moderati più moderati” e 1'opposizione progressista insieme condividono il comune scopo dell'Unità d'Italia, ma poi finiscono per attaccarsi aspramente fra loro su aspetti sostanzialmente secondari del processo unitario.
Nelle corrispondenze da Lucca M. si sofferma soprattutto sul perché la città è ritardataria nella istituzione di Società Artigiane e poi parla in particolare della cittadina di Bagni di Lucca e della sua passata importanza nel “grand tour”, soprattutto quello degli aristocratici inglesi.
In altre pagine le escursioni storiche di M. si soffermano su passate figure italiane , come quella di Francesco Ferrucci,  descrizione che nel caso gli serve anche per decantare le bellezze di Gavinana e della Montagna pistoiese.
M., in altra corrispondenza, continua a seguire gli aspetti associativi di società italiane risorgimentali, laiche e progressiste, come nel caso dell'azione dei Comitati di Provvedimento e soprattutto riporta il regolamento delle società di Carabinieri Volontari Mobili, organizzazioni che la storiografia italiana ha spesso dimenticato, ma che ebbero la loro rilevanza interna e internazionale come dimostra appunto questo scritto.
Come nota Risaliti: “Queste corrispondenze sono scritte da un viaggiatore, ma un viaggiatore che è anche combattente per l'unità e la libertà dell'Italia per cui ha versato tanto sangue fin quasi a perdere la vita. M.  è un viaggiatore in Italia che si rivela contemporaneamente combattente, studioso profondo e perspicace della sua storia, arte, cultura; composizione sociale, attento a tutti gli svolgimenti della vita politica dell'Italia a lui contemporanea. Egli è non solo un osservatore attento della nostra realtà, ma anche un fine analista politico-sociale delle varie regioni del regno d'Italia appena costituito. E tutto questo quando era ancora molto giovane: aveva appena 22-23 anni! Eppure fornice dei giudizi sullo svolgimento degli avvenimenti politici e sociali he anticipano quelli della pubblicistica italiana di allora e della storiografia contemporanea.”
Per il prossimo futuro attendiamo da Risaliti, e dal prosieguo delle sue notevoli ricerche su M., pubblicazioni di ulteriori stimolanti scritti di questo straordinario “garibaldino russo”!

Lev Ili'ič Meč'nikov, Corrispondenze dall’Italia risorgimentale, a cura di Renato Risaliti, Torino, CIRVI, 2015, pp. 138, Euro 24

                                                                                                      


                           Carlo Onofrio Gori




Recensione per le riviste "Slavia" e "Camicia rossa"






venerdì 13 febbraio 2015

Decadenza italiana: un Paese, ormai, a livello internazionale, "piccolo-piccolo"...

Decadenza italiana

Decadenza italiana: un Paese, ormai, a livello internazionale, "piccolo-piccolo". Insegnamenti del vertice di Minsk sulla pericolosa crisi Ucraina. La politica estera è un termometro per misurare la consistenza e l'importanza di una Nazione: meno un Paese è presente sulla scena politica internazionale, dove si decidono tante cose, anche quelle dei singoli Stati compreso il nostro, insomma, più è chiuso in sé stesso e più è marginalizzato. Parto dal secondo Dopoguerra e per l'Italia, Paese pur di importanza "non di primissima fascia", non sempre è stato così. Qualche "colpo", nel bene e nel male fino ad una decina d'anni fa, l'ha autonomamente "battuto" sulla scena internazionale (ENI, Olivetti, Fiat a Togliattigrad, influenza sulla scena mediterraneo-mediorientale, ecc. ecc.). Pensiamo che eravamo nel G7 e G8 (oggi siamo nel G20, ma in quale vera posizione?) pensiamo che l'Europa del dopoguerra fu riorganizzata (MEC, ed i collaterali CECA, EURATOM ecc. ecc.), sostanzialmente da tre Stati: Francia, Germania, Italia (c'era anche il Benelux, ma veniva definito Benelux proprio perché rappresentava 3 Stati medio-piccoli o piccoli: Belgio, Olanda e Lussemburgo).
Il nostro Paese oggi riesce soltanto a far sentire una voce, molto flebile ed ininfluente, ad esempio nella pericolosa crisi interna, con derive islamiste, della vicinissima Libia (peraltro, ricordiamolo, provocata dal recente passato intervento della Francia di Szarkosi che ha defenestrato, insieme ad altri, Gheddafi), e addirittura contraddittoria, come nel recentissimo contenzioso fra la Grecia di Tsipras da una parte, e la Troika e l’UE dall’altra.
A Minsk in Bielorussia, all’incontro promosso allo scopo di scongiurare una nuova e pericolosa guerra europea (se non di più), per l'Europa UE, c'erano soltanto la Germania della Merkel (soprattutto potenza economica) e la Francia di Hollande (soprattutto politica estera militare)...e l'Italia???  Assente: decadenza evidente! L'assenza al vertice della Lady Pesc(e)  Mogherini è soltanto, ma in parte (....e forse una "personalità forte" italiana nel ruolo di Commissario Europeo agli esteri si sarebbe fatta "sentire di più"...) un epifenomeno, visto che in effetti, per statuto UE, ciascun Paese può condurre la politica estera che gli pare, fregandosene appunto dell'UE nel suo insieme.
E chi la fa la politica estera dell'UE oggi??? I Paesi più forti d'Europa, appunto, Germania e Francia (levateci la GB o UK, come di più piace, perché quella, pur sempre potente, "Europa", non è più da tempo: aveva ragione De Gaulle definendola, dopo la IIGM, "appendice degli Usa").
P.S. Mi era ripromesso di non scrivere più correntemente su questo blog di attualità politica nazionale ed internazionale, preferendo, per far questo, l’immediatezza di FB,  riservandomi invece di scriver qui solo di storia, ma in questo caso faccio - riportando questa nota che apparsa sul mio profilo FB ha ricevuto lì vari e convinti consensi - un’eccezione perché la ormai più che decennale ininfluenza italiana, è ormai divenuta, seppur connotata dall’attuale, una constatazione storica” …


        
              


                       Carlo Onofrio Gori