Per ragioni di salute che i miei amici più stretti e vicini di Fb e dei miei blogs ben conoscono, sono praticamente confinato in casa e negli immediati dintorni, piuttosto ancora "bloccato" quindi, mio malgrado ", ho più occasioni di leggere libri, giornali, pagine di tablet, vedere programmmi tv piuttosto che di scrivere piegato sul computer, e così come al solito qui in casa praticamente “divanato" per problemi di postura a causa di quella che i medici definiscono o "grave ciffosi" , un po’ di tempo fa, scorrendo, insieme ad altra stampa , il “Venerdì di Repubblica”, ho avuto occasione di imbattermi e poi soffermarmi su questa recensione ad un libro a fumetti, una monografia dedicata alla pistoiese Leda Rafanelli, argomento comparso in questi tempi nelle rubriche libri e cultura anche di altri giornali e riviste, e da tutti immancabilmente classificato nelle loro rubriche sotto il termine inglese - oggi di gran moda - "graphic novel" (1). La recensione la potete veder riportata, pari pari, qui sopra in alto a sinistra nell’illustrazione che apre questo mio post. La lettura dell'articolo del "Venerdì" per me è stata al contempo sia una piacevole sorpresa perché storicamente, a livello nazionale, la pistoiese Leda Rafanell,i intellettuale autodidatta , solo per brevi tempi, ebbe meritata, ma alla lunga, effimera, notorietà e, una soddisfazione perché anni fa venne pubblicato sulla benemerita rivista di storia
toscana “Microstoria” un mio articolo di un paio di pagine (circa sulle novemila
battute spazi inclusi) su questa intelligente pistoiese dai molteplici interessi, e per molti versi eccezionalmente coraggiosa dal punto di vista culturale, rispetto ai suoi tempi , ma storicamente, ovviamente salvo
determinati ambiti, poco conosciuta (o almeno in tempi odierni poco ricordata) anche a Pistoia. Voglio precisare che quel mio articolo su Leda (come altri miei scritti pubblicati su "Microstoria" e su riviste consimili di divulgazione storica con intenti seri e documentati) necessariamente
contingentato (cioè breve e, magari, e se non sempre esaustivo, possibilmente
"intenso". Per abitudine inizialmente, affrontando gli argomenti assegnatomi o concordati con le redazioni di queste riviste generalmente scrivo molto e di getto , poi "sgrossando" nella materia ampia e grezza buttata nella prima stesura passo poi a fare un lavoro "di scultura" e finisco quasi sempre, con mia stessa soprpresa per dire il necessario eliminando il superfluo - come avviene nelle maggior parte delle riviste settimanali o quindicinali o mensili
"serie" o "volonterose" ... ) che trattano di storia e di divulgazione storica (...e che ancora oggi, malgrado il peso del web e le difficoltà pesanti e crescenti economico-editoriali, riescono, continuando con fatica, a pubblicare ;-)- Dunque grazie anche a questo metodo divulgativo, ma non banale, questo mio scritto su Leda (come, modestamente, del resto ho fatto scrivendo su altri noti e meno noti personaggi toscani, Marini, Civinini, Italia Donati ecc.) riscosse sia fra i sempre lodevoli lettori curiosi di storia cittadina, che generalmente poco
conoscevano di Leda, sia fra "addetti ai lavori" di storiografia del movimento operaio anarchico al quale Leda appartenne (ricordo fra gli altri Fiamma Chessa e
Alberto Ciampi, autore del pregevole
Virgilio Gozzoli ,Vita irrequieta di un anarchico pistoiese, in “Microstoria”,
n. 37, set./ott. 2004) numerosi consensi tanto che lo pubblicai poi in forma più
ampia in questi miei blog e di seguto mi venne richiesto permesso per la riproduzione su altri blog ed in altri siti web (cosa che io, verificato il contesto web e la serietà del richiedente, concedo quasi di "default": ci fa sempre pacere allagare i contatti con gente "ricettiva" ed aperta alla discussione. Per questo fra i desiderata che ogni tanto presento alla Biblioteca San Giorgio di via Pertini (uno dei pochi posti che posso quasi giornalmente posso autonomamente visitare) ho richiesto questo libro, scritto da Colaone-Satta e de Santits ed edito della Coconino Press, dal titolo omonimo, Leda e dal sottotitolo "Che solo amore e luce ha perrconfine". Ottima l'esperienza biografica, puntualmente ripercorsa dalle autrici in questo "graphic novel" ) piuttosto, più correttemente, che in biographic novel come nel caso di Rosa Luxemburg) e dopo le vari pubblicazioni "normali" uscite finora"su" e "di" Leda Rafanelli, semmai a mio avviso in questo libro si è voluto sottolineare gli aspetti frantastici piuttosto che quelli politici, ad esempio, tuttavia interpretano lo spirito della stessa scrittrice pistoiese quando nel suo libro afferma "Le biografe , regolari..."nato a....vissea....scrissse....morto il..."mi sono ostiche, le detesto. La vita è un romanzo e come tale va raccontata: E' la mia vita,, le mie vite sono un romanzo di cui io sola sono l'autrice. Lasciatemi dunque dire. Leda Rafanellli" Questa bella biografia a fumetti è stata acquisita della biblioteca ed è a disposizione del pubblico. Ma chi era Leda Rafanelli? Ecco, come la vidi io, pari pari, senza richiami a miei link in quell'articolo di "Microstoria" del 2005.
Carlo Onofrio Gori (2)
1) Un'anarchica innamorata dell'Islam, Microstoria 2005
2) Per chi volesse approfondire riporto qui questo interessante e recente articolo sul "grafich novel"
"La pistoiese Leda
Rafanelli (1880-1971) fu personaggio di rilievo nel movimento anarchico
italiano del primo ventennio del secolo. Scrittrice autodidatta, riuscì a
conciliare in una originale sintesi di vita le sue idee politiche ed il suo
femminismo con una convinta adesione alla fede musulmana sufita, tuttavia si è
scritto di lei soprattutto come “amante” di Benito Mussolini, allora giovane
direttore dell’ “Avanti!”.
Leda nasce a Pistoia da
genitori livornesi, il 4 luglio del 1880; ancora adolescente mostra già una
precoce vena poetica e una notevole sensibilità sociale tanto che Filippo
Turati che farà pubblicare su un giornale del partito socialista una sua
poesia, “Le gomene”. A fine secolo, per difficoltà economiche emigra con la
famiglia ad Alessandria d’Egitto dove opera una consistente comunità italiana e
si avvicina ben presto agli ambienti anarchici della Baracca Rossa, frequentati
anche da Giuseppe Ungaretti e Enrico Pea, collabora a “Il Domani” (Cairo,
1903). E’ anche già predisposta a lasciarsi sedurre da antichi miti egizi,
scriverà infatti: «Fin da bambina ho sempre detto, con ferma convinzione, che
ero nata millenaria. Tutti i miei personali ricordi, i sogni, le aspirazioni, i
desideri erano basati, sistemati, orientati verso l'antico Egitto, mia patria
d'elezione» (Memorie di una chiromante). Nel contempo si innamora profondamente
del mondo mediorientale, impara l’arabo, diventa musulmana: «Nessuno, che non
sia un bruto, può sfuggire alla malia del deserto, al fascino delle oasi…Chi ha
vissuto qualche anno fra gli arabi ne sentirà l'influenza per sempre» (L'oasi).
L’Egitto è dunque l’unico punto di partenza delle sue due grandi fedi,
anarchismo ed islamismo. Come potranno convivere in lei tendenze di pensiero
così diverse? Forse la chiave di interpretazione, considerando la sua complessa
personalità, va trovata più negli aggettivi che nei sostantivi. Il suo
anarchismo era individualistico, quello della frangia più intellettuale del
movimento che spesso si contrapponeva all’ala collettivistico-organizzativa.
Gli individualisti affermavano in sostanza che i soli cambiamenti strutturali
non sarebbero bastati per far avanzare l'umanità, se non accompagnati da
profondi mutamenti delle idee. Leda mutuerà dal pensiero anarchico-individualista,
il tema della centralità dell’individuo contro i meccanismi alienanti e il
falso umanesimo della società capitalistica, ma socialista libertaria, prenderà
sempre le distanze sia da certe forme di individualismo vicine al terrorismo e
sia dalla possibile degenerazione borghese delle teorie di Max Stirner che:
«mentre possono avere un gran valore come potenzialità intellettuale e
originale di un individuo, adattate alle lotte sociali…verrebbero ad essere una
nuova tirannia e una nuova imposizione esercitata dall'individuo forte, a danno
dell'individuo debole». In quanto al suo islamismo Leda era sufita. Il Sufismo, conosciuto oggi nel mondo
occidentale soprattutto per le suggestive immagini dei balli di una sua
confraternita, i dervisci tourneurs della nota canzone di Franco Battiato, è
corrente dell’islamismo sunnita, mistica e tollerante, non priva di suggestioni
esoteriche. Considerato che la Rafanelli interpreta la sua fede anche come
alternativa al mondo occidentale industrializzato, disumanizzato e schiavo del
denaro, il suo anarchismo e il suo islamismo possono anche sembrare l’uno il
completamento dell’altro. Torniamo però ad Alessandria ai primi del secolo:
Leda, sempre portata alla ricerca del simbolo e del mistero, vede uno scarabeo
di terracotta esposto in mezzo ai libri nella vetrina di un negozio, desidera
l’oggetto per la sua forza di suggestione ed è così che fa momentanea
conoscenza del librario, l’anarchico Ugo Polli. Rientrati poi in Italia
casualmente si incontrano di nuovo alla Camera del Lavoro di Firenze. Si
innamorano, si sposano e ben presto fondano, con l’aiuto di Olimpio Ballerini,
figlio della nota anarchica fiorentina Teresa Ballerini, la Casa Editrice
Rafanelli-Polli. Leda, che già al suo rientro aveva pubblicato presso l’editore
Nerbini novelle popolari a sfondo sociale o anticlericale quali ad es. La
bastarda del principe (1904) o Le memorie di un prete (1906), appreso il
mestiere di tipografo-compositore, può stampare, oltre che per il movimento,
anche propri saggi come Valide braccia (contro il sistema carcerario), Contro
la scuola, ecc. Qualche tempo dopo entra in contatto col ventenne tipografo
anarchico aretino Giuseppe Monanni che a Firenze pubblica, fra il 1907 e il
1908, la rivista individualista d’idee e d’arte “Vir” sulla quale compare tra
l’altro anche una poesia del pratese Sem Benelli, poi noto drammaturgo, dal
significativo titolo “Il rifiuto”. Leda, ventisettenne, si innamora di Monanni,
si separa dal marito (col quale rimarrà in buoni rapporti) e ben presto si
trasferisce col nuovo compagno a Milano, su invito degli esponenti anarchici
Ettore Molinari e Nella Giacomelli, per mandare avanti la nota rivista “La
Protesta umana”. La coppia Rafanelli-Monanni pubblica anche riviste in proprio
come ad es. “Sciarpa nera” e nel 1910 fonda la Libreria Editrice Sociale che
diverrà la più importante impresa editoriale libertaria italiana. Il pittore
Carlo Carrà, per breve tempo amante di Leda, ne disegnerà il logo dove si vede
un volto demoniaco e sullo sfondo il motto “che solo amore e luce ha per
confine”. Leda in questo periodo scrive romanzi e saggi tra i quali Bozzetti
sociali, Seme nuovo, Verso la Siberia. Scene della rivoluzione russa e, insieme
a Monanni, da cui nel frattempo ha avuto un figlio, fonda le riviste “La
Rivolta” (1910) e “La Libertà” (1913-14). Su quest’ultima firma, nel marzo
1913, un entusiastico resoconto di una commemorazione della Comune di Parigi
tenuta da Benito Mussolini. Il direttore dell’”Avanti!” legge e, lusingato,
risponde subito: fra i due nasce una profonda amicizia che durerà fino a quando
Leda, pacifista convinta, si scontrerà duramente con Benito divenuto ormai
interventista. Leda, al contrario di Mussolini, negherà sempre di esser stata
sua amante. Scriveranno in molti su questa vicenda, ad esempio Arrigo Petacco
in L'archivio segreto di Mussolini, sosterrà la tesi di quest’ultimo, altri
invece saranno di diverso parere, ma lo stesso libro di Leda, Una donna e
Mussolini, in fondo non farà che alimentare i dubbi. Quel che è certo è che il
giovane socialista rivoluzionario, allora diviso fra la Balabanoff e la
Sarfatti, si sente intellettualmente stimolato dalla sofisticata Leda, mentre
quest’ultima sembra a volte scoraggiare il suo spasimante: «Ti ho già detto
siamo due mondi in contrasto…è come se tu fossi l’Europa ed io l’Affrica.
L’Europa…la vuole per opprimerla sfruttarla, adattarla al suo modo di
vivere…L’Affrica barbara vive la sua vita pura, istintiva». Un appunto scritto
da Leda sulla prima pagina di un proprio opuscolo, Abbasso la guerra! (1915),
ritrovato successivamente fra le sue carte, ci rivela quale sarà la sua
successiva considerazione per Mussolini: «Opuscolo letto e approvato, in tutto,
dal mio amico d'allora BM che divenne poi guerrista e poi fascista, capo del governo
per 25 anni e poi ucciso dai gloriosi partigiani». A proposito della guerra,
sebbene anche in campo anarchico si fossero verificate alcune defezioni,
l'impegno pacifista di Leda fu costante, mentre nel dopoguerra svolse, tra
l’altro, un'attenta analisi critica del mutamento avvenuto nel ruolo sociale e
economico delle italiane: «Mentre il capo di casa, l'uomo giovane e forte…si
faceva ammazzare, la donna, emancipatissima, invadeva le officine, produceva
per la guerra. Quale progresso!». L’avvento del fascismo e la distruzione della
Società Editrice Sociale nel 1923 sancisce il suo definitivo silenzio politico.
Leda pubblica ancora qualche opera narrativa di atmosfera “orientale”
(Incantamento, (192l), Donne e femmine, (1922); L'oasi, (1926). Successivamente vive tra Milano e Genova e,
costretta da ristrettezze economiche, fa la chiromante. Non smette però di
scrivere e ricostruisce mediante romanzi autobiografici (Nada, La signora mia
nonna, Le memorie di una chiromante) momenti sovente amari dell’ultima parte
della sua vita, come la burrascosa fine della convivenza con Monanni e la morte
del loro figlio Aini. Leda muore a Genova nel 1971. Alcuni suoi scritti saranno
raccolti da Aurelio Chessa, che con il suo Archivio Famiglia Berneri, vera
memoria storica dell’anarchismo, operò per vari anni a Pistoia e che per motivi
di lavoro ebbi il privilegio di conoscere. L’Archivio, oggi intitolato
“Berneri-Chessa” e diretto a Reggio Emilia con diligente passione dalla figlia
Fiamma Chessa, ha recentemente acquisito in deposito conservativo la raccolta
di tutti i suoi documenti autobiografici e delle opere edite ed inedite che
costituiscono attualmente il Fondo Leda Rafanelli.
Carlo Onofrio Gori (2)
1) Un'anarchica innamorata dell'Islam, Microstoria 2005
2) Per chi volesse approfondire riporto qui questo interessante e recente articolo sul "grafich novel"
Alberto Sebastiani
Il fumetto in Italia tra pop culture e letteratura
E' noto il passaggio di “Visibilità” delle Lezioni
americane (1987) di Italo Calvino, in cui lo scrittore ligure ricorda il suo
amore, da bambino, per le storie illustrate del “Corriere dei Piccoli”. Ricorda
che, ancora analfabeta, sapeva leggere le immagini di quei fumetti e costruire
storie, su disegni di autori stranieri e italiani, come Pat Sullivan, Frederick
Burr Opper, Attilio Mussino, Antonio Rubino e Sergio Tofano, in arte Sto, il
padre del Signor Bonaventura, tra i principali nomi della rivista a cui deve
tanto il fumetto italiano ore di Calvino per le storie disegnate, però, non si
esaurisce con la maturità. Anzi. L’eclettismo dello scrittore, la sua curiosità
e ricerca stilistica lo portano anche a far interagire questo primo amore e
quello della sua vita, la narrativa letteraria. Così, in Ti con zero (1967),
appare ad esempio il racconto L’origine degli uccelli (Calvino 1995, 236-247),
in cui il celebre personaggio Qfwfq ricorda la prima apparizione degli uccelli,
il suo innamoramento per la loro regina, e lo sconvolgimento dei paradigmi
culturali che comporta l’apparizione di quei “mostri” (Bazzocchi 2005, 59-79).
Il tutto, narrato mettendo in parallelo, o intersecando, il racconto in prosa e
la descrizione o l’indicazione delle tavole, delle vignette e delle soluzioni
grafiche che, in un fumetto, avrebbero potuto raccontare la stessa storia. Forse
addirittura meglio, insinua CalvinoIl testo viene dunque pubblicato nel 1967,
ma sarebbe stato scritto a partire dal 1964 (Calvino 1995, 1349). Una data non
da poco, per la storia del fumetto in Italia. Quell’anno, infatti, esce
Apocalittici e integrati di Umberto Eco, ovvero il primo studio scientifico, la
prima riflessione articolata che appare nel Paese sul fumetto, i suoi
personaggi e il suo linguaggio, all’interno di un discorso più generale sulla
cultura di massa.
Dopoguerra, anni di crociate
Prima degli anni ’60, il clima culturale era molto
diverso. È risaputo quanto le nuvolette abbiano avuto vita dura dalla loro
nascita. Ovunque. Un episodio emblematico resta la crociata statunitense degli
anni ’50 contro il fumetto (Nyberg 1998), in quanto pericolo per i minori, sia
morale che culturale e formativo. Si indica come origine, o meglio come momento
sintetizzante della situazione, l’uscita del libro dello psichiatra Frederic
Wertham del 1954, Seduction of the Innocent.
All’attacco, l’industria del fumetto reagisce sulla
difensiva, con un codice di autoregolamentazione (il Comics Code, adottato dal
26 ottobre 1954 ) che negli anni Zero Will Eisner, in un dialogo con Frank
Miller, ricorda come una soluzione «per mettere al riparo gli editori dalla valanga
di polemiche che avrebbe fatto saltare tutta l’editoria a fumetti» (Eisner e
Miller 2005, 103).Di fatto, tra gli anni ’40 e ’50, negli Usa i fumetti
subiscono una vera e propria aggressione. E situazioni analoghe si hanno anche
in Europa. In Italia non mancano crociate volte a individuare nei fumetti
responsabilità della cosiddetta decadenza dei costumi delle nuove
generazioni.Siamo negli anni ’50, quelli dell’avvento dei “giovani”, per la
prima volta non più embrioni di adulti ma categoria sociale con una propria
identità, usi e costumi, abbigliamento, passioni, modi di aggregazione
(Dogliani 2003; Sorcinelli e Varni 2004). Per l’opinione pubblica più
conservatrice, sono tutti “teddy boys”, criminali, capelloni, degenerati da
contrastare. Tra chi urla all’apocalisse, i fumetti sono considerati tra i
responsabili dell’imbarbarimento, accusati di raccontare storielle insulse in
un linguaggio povero e diseducativo. Sono pubblicati studi e inchieste sulla
cosiddetta “gioventù bruciata” con interventi di intellettuali, sociologi,
psichiatri, scrittori, poeti che li mettono all’indice (Sebastiani 2009,
108-115). E queste voci sono poi, in effetti, largamente condivise. È una sorta
di sentire comune, e così le scuole bandiscono e contrastano le pericolose
nuvolette, che per altro sono poste all’indice tanto dalla stampa cattolica
quanto da quella comunista, anche da insigni rappresentanti della classe
politica progressista, per quanto riviste come “Il Vittorioso” e “Il Pioniere”
incarnassero a fumetti le posizioni rispettivamente di Democrazia Cristiana e
Partito Comunista Italiano nell’indicare ai giovani cattolici e comunisti dove
stessero il bene e il male (Barbieri 2010, 18
Voce assolutamente fuori dal coro è Elio Vittorini.
Nel suo “Politecnico”, ancora negli anni ’40, dà spazio alle nuvolette, e non
considerandole mero intrattenimento né un pericolo (Stancanelli 2008). Pubblica
strip di Popeye (considerato «al fianco dei personaggi del racconto di tutti i
tempi: e come un personaggio di Dickens, non come un personaggio di De Amicis»)
di Elzie Crisler Segar (nn. 31-32, luglio-agosto 1946) e di Barnaby di Crockett
Johnson (nn. 37, 38, 39 del 1947), addirittura un intervento di Walt Disney (La
mia officina, n. 20, 9 febbraio 1946) e articoli che sostengono la qualità del
fumetto in Italia e negli Usa, nonché le sue potenzialità narrative (Il mondo a
quadretti, n. 2, 6 ottobre 1945). Dichiarazioni destinate «a cadere nel
dimenticatoio per venti anni esatti, sino alla nascita di “Linus”, che sarebbe
ripartito esattamente dallo stesso punto» (Barbieri 2010, 17).
Anni Sessanta, anni di fermento.-.
Gli anni ’60 sono anni di liberazione culturale,
anche per il fumetto. Un anno dopo l’uscita di Apocalittici e integrati, nel
1965 esce “Linus”, rivista che tratterà le storie a nuvolette come una rivista
letteraria tratta il romanzo, e proprio nel primo numero pubblica una
conversazione divenuta poi celebre tra Oreste del Buono, scrittore, storico
critico e operatore culturale del fumetto, lo stesso Eco ed Elio Vittorini, che
paragona Charles M. Schulz (il padre dei Peanuts) e J. D. Salinger.
L’anno successivo, il 1966, nasce il festival del
fumetto di Lucca, oggi noto come Lucca Comics & Games, mentre in Francia
esce il numero 8 di “Communication”, L’analyse structurale du recit (in Italia:
L’analisi del racconto, Milano, Bompiani, 1969), con saggi poi raccolti in
volume di Roland Barthes, Gerard Genette, Tzetan Todorov, A. J. Greimas, e –
ancora una volta – Eco, il quale scrive un intervento sulle strutture narrative
di Ian Fleming: il padre di James Bond. La cosiddetta paraletteratura è ormai
sdoganata, e sempre in Francia nel settembre 1967 si tiene il celebre convegno
Entretiens sur la paralittérature (Arnaud et al. 1967), con saggi dedicati al
romanzo popolare, al feuilleton, al fotoromanzo, e al fumetto, linguaggio che
in quegli anni e nei successivi conquista sempre più spazio, anche nei
repertori a cui la letteratura attinge per paralleli, similitudini, metafore.
Un linguaggio, una forma di narrazione, un luogo di interazione tra immagine e
parola scritta che è ormai parte stimolante dell’immaginario. E al quale
proprio negli stessi anni, alla Facoltà di Magistero a Roma, Romano Calisi
istituisce un Archivio Nazionale del Fumetto, che organizza incontri,
conferenze, giornate di studio dedicati alle nuvolette.
Sono gli stessi anni in cui si rinnova addirittura
il “Corriere dei Piccoli”, che abbandona definitivamente (Brunoro 2008) le
didascalie per i balloons, e in cui appaiono i fumetti erotici, albi che
conquistano una larga fascia di pubblico, adulta, come anche e soprattutto i
nuovi protagonisti negativi (Cattivissimi 2004) di storie intrise di temi tabù
e moralmente disdicevoli (sesso e criminalità): i fumetti caratterizzati dal
fattore “k”, come Diabolik delle sorelle Giussani (Scaringi 2002), o Kriminal e
Satanik di Magnus.La curiosità e la ricerca degli autori letterari Calvino
scrive L’origine degli uccelli in questo contesto. In un momento in cui gli
studi strutturalistici e semiotici stanno offrendo un nuovo sguardo critico, un
nuovo modo di analizzare i testi, non solo letterari. Il racconto di Calvino,
pur nella diversità dei linguaggi, e nella diversità delle possibilità
narrative, si rivolge al fumetto come altra via per la narrazione scritta, non
necessariamente in successione e sequenza, ma in configurazione e simultaneità
(per sintetizzare con le espressioni che proprio nel 1964 Marshall McLuhan
usava in Understanding media (trad. it. 1967) per descrivere i testi dell’era
elettrica).Il fumetto, come il cinema o altri linguaggi in cui interagiscono
elementi non solo verbali, testi sincretici, è una strada percorribile per la
narrazione. In fondo, Calvino non è l’unico autore letterario italiano, per
quanto estremamente poliedrico (Perrella 1999, Serra 2006), che si interessi a
questo medium. Non va dimenticato che il fumetto di fantascienza nasce nel
nostro Paese grazie a Cesare Zavattini. Infatti, molti anni prima, nel 1936,
l’autore di Luzzara scrive il soggetto di Saturno contro la terra, con il
personaggio Rebo, il despota di Saturno, poi sceneggiato da Federico Pedrocchi
e disegnato da Giovanni Scolar.Il caso Buzzati Arriva il 1968, l’inizio
ufficiale della contestazione che già da alcuni anni attraversa il Paese. Anche
in Italia, come all’estero, emerge l’uso del fumetto tra i linguaggi della
protesta (Vergari 2008). Ironico, sbeffeggiante, medium considerato di secondo
piano, povero, e quindi spazio libero per la ricerca e la denuncia politica e
sociale.Nel 1969, quello dell’autunno caldo, due anni dopo l’uscita del
racconto di Calvino, a scandalizzare il mondo letterario con un fumetto è però
un autore milanese che nulla ha a che vedere con la contestazione giovanile,
studentesca, operaia. È Dino Buzzati, altro autore appassionato del territorio
fantastico, che dà alle stampe un libro davvero insolito per il panorama
nostrano: Poema a fumetti (1969). E solo un anno prima, nel 1968, sempre
Buzzati aveva addirittura scritto una Prefazione a Vita e dollari di Paperon
de’ Paperoni, parlando delle storie di Paperino come di «una delle più grandi
invenzioni narrative dei tempi moderni», con personaggi come Paperino e
Paperone capaci di competere con quelli di Molière, Goldoni, Balzac e Dickens,
in quanto non caricature o macchiette, ma «creature ogni giorno e in ogni
avventura un po’ diverse da se stesse; hanno insomma la variabilità,
l’imprevedibilità, la mutevolezza tipiche degli esseri umani» (Buzzati 1968,
5).
Parole che si avvicinano a quelle di Eco in
Apocalittici e integrati, e di Vittorini nella conversazione su “Linus”, ma che
non possono essere definite condivise. Per quanto fossero gli anni ’60, per
quanto diversi letterati cominciassero a interessarsi ai comics, sul fumetto
gravavano ancora molte perplessità. Eppure, a ripercorrere la storia letteraria
italiana, compaiono diversi nomi eccellenti, da quel periodo in poi, attenti a
questo medium (Allegri e Gallo 2008).
L’attenzione di letterati, intellettuali,
artisti.Nell’ultimo quarto del Novecento, al valore e all’importanza del
fumetto non mancano riconoscimenti, e non solo da parte di scrittori. Infatti,
non da oggi, l’arte, il cinema, la televisione, la radio e altri media
attingono copiosamente all’immaginario, alle situazioni narrative, alle
rappresentazioni di luoghi, figure e dinamiche, nonché alle storie e alle
fraseologie del fumetto. Il fumettista stesso è diventato una figura molto
popolare, tanto nella realtà quanto come personaggio in opere letterarie,
filmiche e altro ancora (Castelli 2010). Ed è diventato anche un collaboratore
prezioso per autori che si muovono in altri ambiti artistici. È noto il ruolo
che ha avuto il fumettista francese Moebius nella creazione delle scenografie
del film Blade Runner di Ridley Scott (1982). Per l’Italia, si pensi a Federico
Fellini, che usò parole di grande stima per i comics, e al suo rapporto ad
esempio con Milo Manara, che disegnò su sceneggiatura del regista Viaggio a
Tulum (1986) e tradusse a fumetti quella di Il viaggio di G. Mastorna (1992).Il
regista amava il tratto dei fumettisti, e commissionò manifesti per i suoi film
allo stesso Manara (Intervista, 1987) e La voce della luna, 1990 e ad Andrea
Pazienza (La città delle donne, 1980).E Fellini non è certo l’unico: altri
artisti e intellettuali hanno collaborato con fumettisti. Un cantante e
scrittore come Francesco Guccini, ad esempio, ha creato con l’amico Bonvi (come
ricorda in Amico Bonvi, quasi una nostalgia), il padre di Sturmtruppen, la
storia a fumetti Storie dello spazio profondo, apparsa sulla rivista “Psycho”
nel 1969, poi in volume per Caracas (Roma, 1972), Mondadori (Milano, 1979),
Granata Press (Bologna, 1991), e ora Rizzoli-Lizard (Milano, 2010).
Con un altro amico, Roberto Raviola in arte Magnus ,
autore capace di muoversi con estrema versatilità tra stili e generi (Hamelin
2007), Guccini ha collaborato alla sceneggiatura dell’episodio Poche ore
all’alba (1975) di “Lo sconosciuto” (poi riedito nel 1985 in “L’isola trovata”,
da Granata Press nel 1991 e da Einaudi nel 1998).Un giornalista come Enzo
Biagi, inoltre, a partire dagli anni ’70 ha iniziato a pubblicare per la
Mondadori una Storia d’Italia a fumettidi grande successo, poi una Storia del mondo,
con la collaborazione di matite come Milo Manara, Marco Rostagno, Carlo
Ambrosini , Aldo Capitanio, Alarico Gattia, Paolo Ongaro, Paolo Piffarerio,
Sergio Toppi, Dino Battaglia, Hugo Pratt.
Dagli anni ’80 a oggi, poi, non si contano quasi i
riconoscimenti anche artistici del fumetto. Ed è consistente il numero di
autori letterari che si sono a vario titolo cimentati col medium. La coppia
Carlo Fruttero e Franco Lucentini, ad esempio, già negli anni ’70 dirige “Il
mago”, tra le principali riviste del decennio, ovvero i laboratori di autori,
centri di creatività permanente, di incontro tra scuole, gruppi e poetiche
sempre più sperimentali: Linus, Alterlinus, Alter e Alter Alter, Il male,
Cannibale…
Il progetto bolognese Valvoline Motorcomics vede
autori attenti all’interazione tra i media come Daniele Brolli, Igort, Lorenzo
Mattotti, Marcello Jori , Giorgio Carpinteri, Jerry Kramsky, l’americano
Charles Burns . Negli anni ’80 danno vita alla rivista “Dolce vita”, con
collaborazioni di Aldo Busi, Tonino Guerra, Pier Vittorio Tondelli, Sandro
Veronesi (Barbieri 1990, Boschi 1997, Boschi 2007, 131-140, 195-196). Ovvero
nomi di primo piano della “vecchia” e della nuova scena letteraria italiana.
Da quel momento gli scrittori che incontrano il
fumetto si moltiplicano. Tra i nomi contemporanei, vale la pena citare Sandrone
Dazieri, che da tempo compie incursioni nel mondo delle nuvolette, e Tiziano
Sclavi, creatore del bonelliano Dylan Dog, da sempre attivo tra letteratura (di
genere) e fumetto. Identico discorso per Leonardo Gori e per Andrea Carlo
Cappi, o per Luigi Bernardi , che per altro si muove come autore, editor ed
editore. Per non parlare di Gianfranco Manfredi musicista, sceneggiatore,
autore e saggista.
Molti scrittori cominciano a creare storie originali
e sceneggiature per racconti e romanzi a fumetti, o si fanno aiutare per
trasporre in questo altro linguaggio storie già pubblicate in volume o su
riviste: Claudio Piersanti, Massimo Carlotto , Valerio Evangelisti, Carlo
Lucarelli e.
Con questi ultimi nomi si sono attraversati gli anni
Novanta e sono giunti gli anni Zero, un ulteriore momento di rivoluzione per il
fumetto, con nuove riviste, un’editoria espansa, con realtà indipendenti sorte
anche grazie all’avvento del web 2.0, il che vuol dire spazi e dinamiche nuove,
con siti, blog, repertori, riviste, distribuzioni indipendenti (Leggeri 2009),
dunque notevoli possibilità, ma anche ripensamenti del medium. Scott McCloud
(2001) all’alba del XXI secolo si è subito interrogato sull’influenza che la
rivoluzione tecnologica in atto avrebbe avuto sul fumetto, e su come esso
potrebbe positivamente interagire con essa. E intanto è esploso il fenomeno
“graphic novel”.
Graphic novel?
In Italia è ormai diffuso un prestito non adattato,
dall’inglese: graphic novel. È usato per indicare i “romanzi a fumetti”, e lo
si incontra in quotidiani, riviste specializzate, periodici generalisti nelle
rubriche di recensioni. Oltre a blog come “Cuoredichina” di Marco
Lupoi,“Cartoonist globale” di Luca Boschi, o “flusso di coscienza” di Tito
Faraci (tutti su “Nòva”, sito del “Il sole 24ore” dedicato alla ricerca,
all’innovazione e alla creatività). Denomina un fenomeno letterario, o
artistico, con un pubblico in aumento, al quale si interessano anche medie e
grandi case editrici letterarie, come Feltrinelli, Guanda, Rizzoli, Marsilio,
Einaudi, e al quale Vittorio Spinazzola ha dedicato spazio in Tirature ’08
(Milano, Il Saggiatore, 2007), l’annuale volume sullo stato dell’editoria
italiana e del suo pubblico, con interventi, tra gli altri, dello stesso
Spinazzola, Paolo Interdonato, Luca Raffaelli.
È convenzione datare l’introduzione del termine al
1978, con il sottotitolo al volume di Will Eisner: A contract with God. A
Graphic novel. Ma Eisner non è il padre del graphic novel (Plazzi 2009).
Spesso, per dimostrare come il “romanzo a fumetti” esistesse già, si citano i
lavori di Hugo Pratt (che di sé disse: «Sono un autore di “letteratura
disegnata” (…), uno scrittore che sostituisce le descrizione, l’espressioni dei
volti, delle pose, dell’ambientazione, con dei disegni. Il mio disegno cerca di
essere una scrittura. Disegno la mia scrittura e scrivo i miei disegni»,
Petitfaux 1992, 166), come Una ballata del mare salato, del 1967, in volume dal
1972, oltre al già citato Poema a fumetti di Dino Buzzati, del 1969. Ci sono
poi discussioni sull’identità dei testi denominati graphic novel, anche per le
difficoltà nella definizione e nell’uso del termine, come afferma Eddie
Campbell nel suo Manifesto del 2005 (leggibile in italiano sul blog “Fumettologicamente”
di Matteo Stefanelli). C’è chi afferma sia la nuova forma del romanzo, o una
forma di romanzo, chi lo ritiene un genere letterario, chi una tipologia
testuale. Chi ritiene sia una novità letteraria, chi sostiene non sia nulla di
nuovo nel panorama dei fumetti, che, in quanto testi narrativi, da sempre
tendono al romanzo. Partecipano al dibattito autori e critici di tutto il mondo
occidentale, dagli Stati Uniti (Eisner 2006, Eisner Miller 2005, 35-45)
all’Italia (Fofi 2007, Lupoi 2008 , Rossi e Toninelli 2007). Proprio per il
nostro Paese, per altro, tra le molte discussioni, ce n’è anche una
morfologica: la o il “graphic-novel”? Vorrebbe il maschile, ma nell’uso sta
vincendo il femminile (Toninelli 2007)..
Di certo, il fenomeno graphic novel sta
incuriosendo, appassionando, vincendo culturalmente (già con la sua
accettazione nelle discussioni critiche, accademiche e pubblicistiche) ed
economicamente. Se la stampa ne parla, le librerie dedicano sempre più spazio
al fumetto, dopo un iniziale dubbio sulla collocazione dei nuovi romanzi a
fumetti (Interdonato 2007, 171-172), i festival e le fiere letterarie come il
Salone del Libro di Torino aprono agli autori di graphic novel, gli scrittori
compongono sceneggiature per disegnatori, mentre i siti in rete finalizzati
allo studio e alla promozione del fumetto si moltiplicano.La maturità del
medium.
Il fumetto, da ormai parecchi anni, è un medium
maturo, capace di confrontarsi con argomenti storici, politici, sociali ed
esistenziali, saggiando stili, muovendosi con disinvoltura tra i generi
(Jenkins 2006)..
In questa sede, però, non interessa entrare in
dettaglio nelle polemiche sollevate da sostenitori e detrattori del fumetto, o
del romanzo a fumetti, magari denominato graphic novel. Né si vuole attuare una
ricostruzione storica del suo successo..
È però necessario chiarire che i graphic novel sono
in primo luogo fumetti, ovvero una narrazione sequenziale (Eisner 1997, Bonomi
2005), o meglio una giustapposizione di immagini e altre figure in una deliberata
sequenza allo scopo di comunicare informazioni (McLoud 1996), fondata
sull’interazione e sull’arricchimento reciproco degli elementi iconici e
verbali (Barbieri 1991).
Considerando poi i graphic novel testi a fumetti non
seriali, ci si trova in presenza con evidenza, pur con ovvie distinzioni
qualitative a seconda dei casi, di storie originali organizzate in testi
complessi e di ampio respiro. Narrazioni in grado di affrontare qualsiasi
argomento, con personaggi dalla psicologia non schematica, da costruirsi nel
testo, non data aprioristicamente. Si tratta di testi caratterizzati
dall’elaborazione di un racconto non vincolato da esigenze storiche della
testata, con la massima libertà stilistica per l’autore, senza indicazioni
compositive editoriali sui personaggi, sullo svolgimento dell’intreccio, sulla
lingua e le espressioni da usare (Scarpa 2006, Badino 2007, Vergari e Marchese
2010). Sia che l’autore sia unico, sia che l’opera nasca dalla collaborazione
tra uno o più sceneggiatori e uno o più disegnatori. Un’interazione che, nei
fatti, è il definitivo superamento della querelle degli anni ’70, tra
disegnatori e sceneggiatori, sulla libertà dei primi rispetto ai vincoli dei
secondi (come scriveva Moebius nel 1975, nel manifesto della rivista “Métal
Hurlant”). Oggi, nei migliori dei casi possibili, si tratta di una ricerca
comune volta all’elaborazione di una narrazione complessa e non schematica.-
Aspetti già in parte individuati da Filippo La
Porta, negli anni Novanta, riflettendo sul volume L’uomo alla finestra
(Feltrinelli, 1992), di Lilia Ambrosi e Lorenzo Mattotti. La Porta ha
riconosciuto al «cosiddetto graphic novel» di poter «toccare le vette più alte
dell’arte e della moralità» (La Porta 1999, 114), e di essere un mezzo
espressivo congeniale al nostro tempo, la cui cifra peculiare è la
contaminazione, già connaturata all’interazione strutturale tra disegno e
parola, e della capacità di accogliere, rielaborandole, suggestioni provenienti
tanto dalla cosiddetta cultura alta quanto (e soprattutto) dalla
pop-culture.Oltre la dicotomia fumetto d’autore /fumetto popolare.
Si è così arrivati a una delle questioni più
dibattute, forse inutilmente, nella recente storia del fumetto. La dicotomia
tra fumetto d’autore e popolare, nata a partire dagli anni ’70, con il boom
delle riviste e l’aurora di una nuova ricerca del fumetto (Barbieri 1995), con
l’avvento della rivoluzione francese di Métal Hurlant (Dionnet, Boschi,
Martinelli, 2004), di Moebius e del gruppo Les Humanoïdes Associés (poi casa
editrice). Una visione del fumetto maturo, capace di sperimentazioni artistiche
e narrative, dagli orizzonti ampi, aperta alla contaminazione tra le arti e tra
i media, che esploderà soprattutto negli anni ’80.
In sostanza, la dicotomia contrappone fumetto di
ricerca e d’intrattenimento, ponendo questo in una posizione di secondo piano,
dal punto di vista della qualità. Il primo è quello sperimentale (nella
costruzione della storia, nel disegno), in cui è individuabile una particolare
poetica e ricerca stilistica dell’autore o degli autori. Il secondo sarebbe
quello seriale, con personaggi dati, schematici e prevedibili, storie
ripetitive, senza ricerche grafiche degne di nota, impersonali, prive di una
poetica individuabile dell’autore (nella storia, nei temi trattati, negli
argomenti, nel tratto, nel ritmo della narrazione), ma riconducibile a uno
stile proprio della testata in cui la storia appare. Una dicotomia che però, di
fatto, non risponde alla realtà. È una falsa distinzione. Infatti, non è detto
che il fumetto popolare debba per forza avere personaggi schematici e storie
stereotipate e prevedibili. Né che il fumetto d’autore debba per natura esserne
privo. Il fumetto popolare non deve essere per forza la versione a fumetti di
un romanzetto d’appendice consolatorio, o ospitare un superuomo di massa (Eco
1964, 1976, 1979). Se è vero che storie singole, o a puntate, o seriali,
possono essere pensate e composte diversamente, orchestrate con un’intenzione
diversa e magari destinate a differenti fruizioni, tutto questo non può essere
ricondotto necessariamente a un discorso di qualità e complessità dell’opera.
Innanzi tutto, la poetica di un autore (o degli
autori, quando sceneggiatore e disegnatore sono due persone diverse) è
leggibile in qualsiasi contesto, nello stile verbale e grafico. In secondo
luogo, molti disegnatori di altissimo livello si sono cimentati sia con opere
singole, proprie, romanzi a fumetti, sia con fumetti seriali, da Diabolik ai
personaggi dell’editore popolare per eccellenza, in Italia:Bonelli. Tra gli
autori dell’editore milanese, per limitarci a pochi esempi, basti ricordare
nomi di generazioni diverse come Magnus, Guido Buzzelli, Lucio Filippucci,
Paolo Ongaro, Giovanni Romanini, Sergio Ponchione, Sergio Toppi, Paolo
Bacilieri, Giuseppe Palumbo, Stefano Vietti, Carlo Ambrosini, Giorgio
Cavazzano, Stefano Casini, Onofrio Catacchio, Giuseppe Camuncoli (per un elenco
completo, con note biobibliografiche relative, si rimanda al sito Bonelli alla
pagina di ricerca dedicata).
Forse, aprioristicamente, in un caso disegnano bene
e nell’altro male? Sembra improbabile.Infine, non è detto nemmeno che le
differenze esistano necessariamente dal punto di vista narrativo, nella storia
e nella costruzione dei personaggi. Tantomeno dal punto di vista grafico. Basti
pensare alla qualità dei disegni di Sergio Toppi, o Gianni De Luca, autori di
storie anche su riviste popolari come il “Corriere dei piccoli” o “il
Giornalino”, e oggi considerati internazionalmente tra i principali esponenti
del fumetto italiano (Hamelin 2008, 2009).
Una conclusione temporanea-In sostanza, la
distinzione tra produzione colta e popolare non risiede necessariamente nel
contrasto tra produzione di alta e bassa qualità. Sintetizza con una sentenza
significativa Daniele Barbieri: «vi sono buoni fumetti che vivono nel circuito
popolare e nel circuito autoriale si trovano a volte fumetti da dimenticare
senza rimpianti» (Barbieri 2009, 122). Il dibattito, seppur più ideologico che
sostanziale, ha però almeno contribuito, se si vuole, alla crescita del mondo
del fumetto: a una maggiore coscienza delle potenzialità e della forza del
medium, del linguaggio. Come si diceva, infatti, il fumetto è diventato adulto:
attraverso l’esperienza, la ricerca, ma anche con un confronto con la critica,
con il dibattito interno, gli studi e le analisi.
Ora, dunque, non può più uscire dall’arena dei
dibattiti. Adulto consapevole, tra romanzo o graphic novel, superata la
discussione tra elitario e popolare, arriva oggi a far riflettere la critica (e
molti autori) sulla sua letterarietà. Un passaggio d’altronde inevitabile,
forse. Specie in un momento in cui il concetto stesso di letteratura viene
discusso diffusamente, anche in ambito non accademico, con uno sguardo aperto a
questioni di critica, editoria, mercato e nuovi media. Si pensi a quello
tuttora in corso che ha coinvolto scrittori, lettori, critici e i classici
“addetti ai lavori”, nato sul blog “Lipperatura” di Loredana Lipperini, e di
cui Carmilla on line, nel numero pubblicato il 5 luglio 2010, ha tentato un
primo riepilogo e organizzato una raccolta degli interventi in versione
stampabile, scaricabile in pdf, poi aggiornata. Riflessioni che esplodono anche
grazie (o per colpa) all’avvento di varie tipologie di testi, più o meno legati
alla tradizione, o riconducibili a particolari tradizioni, e per lo più
digitali. Testi che hanno fatto accendere i riflettori sulle cosiddette nuove
narrazioni, multimediali ma non solo, e rispetto alla cui letterarietà studiosi
come George Landow hanno posto domande a partire dagli anni ’90 (Landow 1993,
1998).
D’altronde, augurando alle nuove forme di narrazione
il miglior futuro possibile, non va dimenticato che per Calvino, nella lezione
americana sull’Esattezza, la letteratura «è la Terra Promessa in cui il
linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere» (Calvino 1996, 678).
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