La Libia dagli anni ’60 ad oggi nell'analisi di Aldo Giannulli
La guerra all’Isis in Siria ed Irak non ci deve
far dimenticare della situazione nella vicina Libia ed allora inizio questa serie di Goriblogstoria360 intitolata Popoli, Paesi e guerre d'oggi proprio partendo dalla Libia. Pertanto riporto qui, pari
pari, questo interessante articolo apparso su l’ultimo numero del “Venerdì di
Repubblica”, analisi con la quale in larga parte concordo anche se su alcuni punti ho
dei rilievi da fare sui quali interverrò qui in seconda battuta nel mio
commento.
Intanto leggiamocelo.
Prof. Carlo O. Gori, Pr
of. Carlo Onofro Gori, Prof. Carlo Gori Università di Firenze
Libia.
Geopolitica di un Paese scoppiato. Di Aldo Giannuli.
Come nasce la crisi dopo la caduta di Gheddafi.
Le tre tribù inconciliabili. L’ondata antitaliana. E il pericolo del jihad.
Anatomia di un pasticcio. Creato anche da noi.
Le radici del gran pasticcio libico stanno in
parte nella storia degli ultimi decenni del Paese, ma, in altra parte, nella
sua storia remota, perché la Libia, come noi la conosciamo, è una realtà molto
recente. Paese vasto (1.700.000 kmq), ma scarsamente popolato, con ampie zone
desertiche, oggetto di ripetute scorribande di popoli vicini che spesso
sedimentavano qualche insediamento locale, è stato caratterizzato da un
accentuato ruolo delle tribù, e, pertanto, da un inesistente senso nazionale,
un limitato sviluppo economico e culturale. Storicamente, si formarono tre aree
geografiche dai confini assai labili, ma ben separate dalle zone poco o per
nulla abitate: Cirenaica ad est della costa, Tripolitania ad ovest della costa
e Fezzan nell'entroterra a sud, abitate da diverse comuni tà tribali in
rapporti di scambio commerciale e culturale fra loro: a differenza di altri
Paesi come la Siria, in Libia, anche per la diversa disponibilità di spazio,
non c'è mai stata una accentuata conflittualità fra le varie tribù. A dare
unità al Paese e confini precisi fra le tre regioni fu 1'occupazione italiana,
in particolare con la «riforma» della colonia voluta da Italo Balbo. Dopo la
fine della guerra e l'indipendenza (1949), la Libia assunse una conformazione
federale rispecchiata nella bandiera del periodo monarchico (con il rosso della
Tripolitania, il nero della Cirenaica e il verde del Fezzanl, cui seguì un
tentativo di accentramento di Re Idris. Nel 1969 il periodo repubblicano fu aperto dal colpe di
Stato di Gheddafì, sostenuto e incoraggiato dall'Italia che protesse sempre
Mu'ammar da tentativi di assassinio e colpi di Stato, in genere orditi dagli inglesi.
Di
fatto, Gheddafi, spesso atteggiato a leader terzomondista ed antimperialista ha
sempre agito all' ombra dell'imperialismo petrolifero italiano.
Sino al
1969, nel mondo arabo si era manifestata una forte spaccatura fra le
tradizionali monarchie - ortodosse e filoamericane - e i regimi repubblicani
militar- nazionalisti inaugurati da Kemal Ataturk (anni Trenta) e seguiti
dall'affermazione dei regimi Baas ispirati da Nasser (anni Cinquanta e
Sessanta) che esprimevano un primo tentativo di secolarizzazione delle loro
società. Gheddafi rappresentò una prima correzione di rotta nel senso di una
reislamizzazione dei regimi repubblicani facendo in qualche modo da battistrada
all'ondata fondamentali sta (che si affermerà qualche anno dopo in Iran) dalla
quale, peraltro, rimarrà distinto. I.:Islam politico di Gheddafi si collocò in
una posizione intermedia fra il socialismo militarista panarabo e il
fondamentalismo jihadista (fu proprio lui a riesumare per primo il termine
Jihad).
Peraltro, se è vero che quella gheddafista è stata una autocrazia
militare simile a quelle baatiste, è anche vero che ebbe caratteri propri e
quel che rese particolare quel regime fu la netta preponderanza della milizia
sull'esercito regolare che, a differenza di quello siriano, iracheno o
egiziano, di fatto, non ha mai combattuto una vera e propria guerra (il caso
del Ciad non fa testo) e fu una realtà politicamente e militarmente molto
debole. Inoltre Gheddafi fece ricorso anche ad un reclutamento mercenario nei
Paesi confinanti, che indebolì il Reso politico dell' esercito.
Di
fatto, l'unico reale limite al potere di Gheddafi fu quello delle tribù, per
cui la struttura del potere in Libia fu sostanzialmente quella di un'
autocrazia che mediava fra le diverse tribù ed etnie, protetta da una guardia
pretoriana pagata con la rendita petrolifera, con opposizioni interne ed
esterne al regime troppo deboli per rovesciarla. In questo gioco, Gheddafi
privilegiò costantemente le tribù del centro della costa (zona della Sirte) da
cui proveniva, ed ebbe molto rispetto per i Warfalla la tribù libica più
popolosa) mentre fu ben più sfavorevole alla Cirenaica (da sempre più esposta
alle influenze inglesi ed egiziane) allo stesso modo in cui esercitò una dura
repressione contro le aspirazioni a un sistema democratico e rispettoso dei
diritti umani.
La
linea di frattura politica principale che si è formata in Libia si identifica
in larga parte fra quelli che furono sostenitori e beneficiati di Gheddafi e
quelli che furono suoi perseguitati e oppositori. La rivolta libica della
primavera 2011 fu stimolata dai servizi segreti di Francia ed Inghilterra che
miravano a rimpiazzare l'influenza italiana in quella importante piazza
petrolifera: sappiamo della fuga in Francia di Nouri Masmari, già nell' ottobre
precedente, sappiamo che già nel novembre successivo il colonnello dell'
aeronautica Abdallah Gehani incontrò un gruppo di agenti dei servizi francesi.
Sappiamo anche che uomini dei reparti speciali inglesi sbarcarono in Cirenaica
svolgendo un ruolo importante nell'organizzare l'insurrezione. Questo non
significa che l'insurrezione anti Gheddafi sia stata una «invenzione»
dell'intelligence occidentale: l'ostilità al regime c'era e non è un caso che
la sua roccaforte sia stata in Cirenaica ed è proprio su questa base che i
servizi anglo-francesi hanno potuto operare. Si formò un fronte composito e
articolato nel Consiglio Nazionale di Transizione che, alla borghesia
«occidentalizzate» di Bengazi (la cui
forza fu probabilmente sopravvalutata) aggiungeva tribù a lungo perseguitate e
altri oppositori tra cui anche aree di fondamentalismo islamico la cui forza fu
invece sottovalutata) mentre importanti gruppi come i Warfalla rimasero a lungo a vedere.
Subito
dopo l'abbattimento del regime, complice l'assenza di un forte esercito e la
preponderanza delle mìlìzìe locali, questa coalizione andò via via
sciogliendosi, man mano che riemergevano le antiche divisioni tribali, sulle
quali hanno giocato pesantemente le ingerenze straniere. Dopo le prime scaramucce
fra le milizie fra il 2013 e il 20l4; sono emersi due poli: Dignità a Tobruk
(dove risiede il governo riconosciuto dagli occidentali) e Alha Libica a
Tripoli, sostenuta da Turchia e Oatar, nel quadro dei tentativi di ciascuno di
affermare la propria egemonia sul Medio Oriente e Nord Africa. Nella spaccatura
fra i due si sono i inseriti i gruppi jihadisti che hanno insediamenti in
diversi punti della Tripolitania (compresa la stessa Tripoli) e un caposaldo a
Derna, in Cirenaica. Dopo vari tentativi di mediazione andati a vuoto, qualche
settimana fa era parso che Bernardino Leòn , inviato dell'Onu, fosse riuscito a
gettare le basi di un accordo fra Tripoli e Tobruk, ma in pochi giorni la
speranza è crollata e, anzi, c'è stata una ripresa delle ostilità (che, fra
l'altro, ha registrato una violenta fiammata antitaliana). Come spiegare questa
inattesa evoluzione? In primo luogo, è probabile che l'inviato Onu abbia avuto
troppa fretta ed abbia cercato di «forzare la mano» insieme ai moderati dei due
schieramenti, per mettere i rispettivi falchi di fronte al fatto compiuto;
peccato che, nella difficile situazione venutasi a creare, nessuno abbia il
completo controllo del proprio schieramento, per cui i falchi hanno preso il
sopravvento, non sappiamo se in entrambi i poli o solo in uno di essi e quale.
Ma la ragione di fondo appare piuttosto un'al- tra: a non reggere è la
geografia complessiva del Medio Oriente-Nord Africa, con i suoi Stati
artificiali nati dalla dissoluzione dell'Impero Ottomano, con le sue linee di
confine tracciate con il righello, con le sue profonde disomogeneità da Paese a
Paese. Crisi come quelle libica, siriana, irachena (e direi anche sudanese) non
troveranno mai una soluzione al di fuori di un riassetto complessivo dell'area
sulla quale si dispiegano troppi piani di potenza e nessun progetto
complessivo.
La Libia ci serve unita, viene spesso ripetuto,
e la cosa ha un suo fondamento, non ultimo il bisogno di far fronte all' of-
fensiva jihadista, ma, direbbe Kant, aver bisogno di cento talleri e avere
cento talIeri non sono affatto la stessa cosa ed il Paese appare avviato verso
la divisione. D'altro canto, anche in Iraq il disperato tentativo di tenere
insieme curdi, sunniti e sciiti mantenendo in vita l'improbabile Stato-nazione
ideato da Churchill non pare stia avendo successo, come in Siria.
Nel frattempo cosa possiamo aspettarci? Un'
entropia crescente dell' area con la nascita di nuovi focolai, un'ulteriore
avanzata degli jihadisti e sempre nuove ondate di profughi che si dirigeranno
verso l'Europa. D'altro canto, questo disastro lo abbiamo provocato noi con
scelte remote (come il colonialismo e la successiva decolonizzazione
malcondotta) e recenti (le sciagurate guerre del Golfo e dell' Afghanistan).
Ora arriva la prima rata del conto da pagare.
Ne seguiranno altre e il conto finale rischia d'essere molto salato.
Aldo Giannuli in il “Venerdì di Repubblica”
numero 1444, 20 novembre 2015